Reina alla Garellik, il brivido magico di una parata coi piedi

Io me lo ricordo, era goffo, un filo sovrappeso. Era il tempo in cui alcuni calciatori sembravano persone normali più che atleti, quelli che quotidianamente puoi incontrare in ascensore. Ecco, Claudio Garella era uno di quelli, l’omone del quarto piano. Io me lo ricordo, era la stagione dello scudetto del Verona, quando i gialloblù erano […]

Io me lo ricordo, era goffo, un filo sovrappeso. Era il tempo in cui alcuni calciatori sembravano persone normali più che atleti, quelli che quotidianamente puoi incontrare in ascensore. Ecco, Claudio Garella era uno di quelli, l’omone del quarto piano.
Io me lo ricordo, era la stagione dello scudetto del Verona, quando i gialloblù erano allenati da Osvaldo Bagnoli, un filo più intelligente e colto del signor Mandorlini. Venne a Napoli per la prima giornata di ritorno. L’andata, purtroppo, ce la ricordiamo tutti. L’esordio di Diego in quello che sarebbe diventato uno stadio per noi maledetto. Inghiottito da Briegel. Ne prendemmo tre e fu una magrissima consolazione constatare che la sera, alla Domenica sportiva, scelsero come gol più bello della giornata quello di Daniel Bertoni su lancio di Bagni.
Garella, dunque. Quel giorno, al San Paolo, parò di tutto. Un intervento non è più uscito dalla mente, andò a togliere da sotto la traversa un pallone destinato al sette. Calciato, credo, proprio da Bertoni. Su punizione. Ero nei Distinti quel giorno e quell’anno, una voce si levò alta: “’o scartellato, che t’è magnato, ’e ’ccriature morte?”. Io, quattrordicenne, non sapevo se ero più ammirato dalle gesta del portiere goffo o dall’esclamazione.
Quel portiere, poi, arrivò a Napoli. Lo portò Italo Allodi con la seconda serie di acquisti, quella che comprese, se non ricordo male, Renica, Giordano e Pecci. Un portiere sgraziato, eppure efficace. Parava più coi piedi che con le mani. Ma non un portiere in stile Jongbloed, no. Lui i piedi li usava per respingere. Diciamoci la verità, avviare l’azione non era cosa sua. Ricordo un Napoli-Atalanta, la stagione della scudetto. Eravamo sul 2-1 e lui coi piedi servì un assist perfetto a Incocciati che non si fece pregare. Finì 2-2. Tornammo a casa mestamente. Non avremmo mai immaginato che la domenica successiva saremmo andati a vincere a Roma dando così inizio alla cavalcata trionfale. Chissà, forse fu proprio quel passaggio sciagurato a convincere i dirigenti azzurri che il vuoto lasciato da Pecci andava colmato.
Garella, dunque. Ma perché Garella? Perché domenica sera la sua ombra è riapparsa sul San Paolo. Un San Paolo, lo voglio scrivere anche se non c’entra niente, che ha modificato l’illuminazione. Ora c’è un effetto occhio di bue. Hanno tolto i fari dalle curve, la pista non è più illuminata, lo è solo il terreno di gioco. Chiusa parentesi.
L’ombra di Garella, dicevamo. È riapparsa domenica sera, quando Reina ha respinto goffamente un tiraccio del Bologna dalla lunga distanza. A dire il vero, anche quando ha bloccato in due tempi un cross semi-innocuo. Non a caso Marco Azzi (che a dire il vero ha usato anche il termine Rafalution, qui sdoganato) su Repubblica ha rispolverato il paragone con Garellik. Come Trapani, del resto.
Di certo, dopo tantissimi anni, il ruolo del portiere è tornato al centro dell’attenzione di un allenatore del Napoli. Del resto, il calcio di Rafa Benitez prevede un lavoro particolare per il portiere. In Villa comunale, o per strada, lo definivamo portiere volante. Non siamo proprio a quei livelli, perché Reina non imita Higuita, ma domenica sera chi era al San Paolo non poteva non rimanere sbalordito di fronte al riscaldamento dei portieri. Entrambi, si badi bene. Anzi, tutti e tre. Con le mani, praticamente, non l’hanno mai toccata. Un po’ di ginnastica e poi l’esercizio chiave: un portiere è nell’area e gli altri due si collocano sulle due fasce creando una sorta di cono. Il portiere, alternativamente, lancia di destro sulla sinistra e di sinistro sulla destra, progressivamente più in alto fino alla metà campo. Mai visto in vita mia.
E in partita, non a caso, Reina ha dato l’impressione di essere un libero. Sempre attento, pronto a intervenire su qualsiasi pallone lungo. Regalando anche una sensazione di sicurezza nonostante le due incertezze alla Garella. Chi lo conosce, chi segue il calcio inglese, ha provato un brivido lungo la schiena alla notizia dell’acquisto dell’ex portiere del Liverpool. Quello stesso brivido che provavamo noi quando lo scartellato fermava gli avversari con i piedi.
Massimiliano Gallo

p.s. Ovviamente rispetto e gratitudine massimi per Morgan De Sanctis, non vorremmo che Spadetta si sentisse investito della missione di riabilitare anche il nostro pirata.

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