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E un giorno Rafa scelse la panchina

Avere vent’anni e i sogni spezzati. Tomàs Ramirez, l’allenatore delle giovanili, l’aveva detto: “La maggior parte di voi non arriverà mai in serie A, il vostro livello potrebbe essere la C”. E adesso Rafa davvero si piegava a quel destino, non per scarse capacità ma per il legamento rotto alle Universiadi. Aveva annusato l’aria del Real, ma doveva ricominciare dal Parla, la squadra di una città vicino Linares. Al Parla sarebbe rimasto per cinque campionati, contribuendo alla promozione in serie B. Soprattutto, al Parla avrebbe conosciuto Manuel Garcia Quilòn, che più tardi sarebbe diventato il suo agente.
Il Real Madrid inizialmente lo mandò al Parla in prestito, confidando in un pieno recupero. Il calcio di C, se non altro, avrebbe consentito a Benitez di finire gli studi, di completare l’università. C’è sempre un bicchiere mezzo pieno, da qualche parte, a saperlo cercare. Tra i compagni ce n’erano poi alcuni che avevano qualcosa da insegnarli, come Macua che era stato in serie A con l’Osasuna, e come il portiere Antonio, che sarebbe finito al Valencia. Alla fine furono loro a essere colpiti da Rafa. “Si appuntava tutto: infortuni, cartellini, gol segnati su calci da fermo, chi li aveva segnati, e contro chi. Non c’era nulla che tralasciasse”, raccontano nella biografia di Benitez firmata da Paco Lloret. A dispetto della sua seriosità, era integratissimo nel gruppo. Era il solo che parlasse inglese nello spogliatoio, era il compagno preferito di tutti per le vacanze.
Quando il contratto con il Parla scadde, Rafa si trasferì al Linares. Un anno. L’ultimo da calciatore. Fu grazie all’allenatore Enrique Mateos, ex calciatore del leggendario Real di Alfredo Di Stefano. Mateos lo conosceva bene. Lo aveva seguito nelle giovanili. Si erano affrontati anni prima da avversari in serie C. Mateos, allenatore del Lorca, era sull’orlo dell’esonero quando si imbatté in un Benitez scatenato: “Rafa, la smetti? Vuoi farmi cacciare”, gli urlò dalla panchina. Al Linares, finalmente insieme. Un giorno Benitez entra in campo nei dieci minuti finali della partita contro il Ceuta, non aveva avuto neppure il tempo di scaldarsi. Ma gioca da padreterno. “Rafa, se avessi saputo che eri così in forma, ti avrei fatto giocare dall’inizio”, gli dice Mateos alla fine. E alla partita successiva manda Benitez in campo dall’inizio, contro il Cordoba. Quaranta gradi, Rafa non la vede mai. “Comandi, comandi, ma non corri”. Una complicità totale. Fu facile per Mateos chiedere a Benitez di fargli da vice. Rafa dirigeva la parte atletica degli allenamenti, organizzava il riscaldamento dei compagni. Cominciava a delinearsi una nuova carriera.
Così, per affinare le doti di allenatore, Rafa si iscrisse a un corso intensivo di allenatore di basket, sport che in Spagna stava diventando popolarissimo per via della medaglia d’argento vinta dalla nazionale alle Olimpiadi di Los Angeles (1984). Benitez ne era attratto. Si immerse nello studio della tattica, nelle infinite varianti che esistono per i giochi d’attacco e negli infiniti meccanismi difensivi. Per ogni situazione c’era una soluzione. Splendido da scoprire, splendido da padroneggiare. Il basket si basava sullo studio e sull’analisi, due elementi che il calcio ignorava, figurarsi a metà anni Ottanta, figurarsi in serie C. Non solo. A Linares c’era anche modo di dedicarsi all’altra grande passione, gli scacchi. Linares è la Wimbledon degli scacchi. Qui si gioca un torneo internazionale famosissimo, nel cui albo dìoro entrano solo i campioni. E anche dagli scacchi c’era modo di carpire segreti, idee, meccanismi, e di portarli nel calcio. Da innovatore.
Quando il campionato finì, per Rafa giunse il tempo di tornare a casa. Madrid. Il Real. Era il 1986. Con un diploma di allenatore regionale e giovanile in tasca, a 26 anni, lo chiamano ad allenatre le giovanili del Castilla B. La filiale della casa madre. Stava nascendo Benitez.
(3. – continua)
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1. L’infanzia
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