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Così De Laurentiis ha sconfitto Desmond Morris

Non li riconosco più. Non sembrano più tifosi. Sono, siamo, diventati ragionieri. Una volta eravamo attenti ai gol segnati, ai dribbling, oggi quando viene accostato il nome di un calciatore al Napoli, pensiamo al conto economico, all’ingaggio, alle eventuali future plusvalenze. E credo che la rivoluzione culturale – perché di questo si tratta – portata avanti con tenacia da Aurelio De Laurentiis stia dando i suoi frutti.
Ora, io non sono del partito cacc’e sorde. Nel senso che il gioco – come ho scritto infinite volte – mi è chiarissimo. E del resto tante cose possono essere imputate a De Laurentiis ma non l’incoerenza. È sempre stato chiaro, fin dal primo giorno. Noi siamo utenti e non tifosi. Il calcio è un’industria e il Napoli è la sua azienda. Compito di un’azienda è produrre quanto più fatturato possibile.

Quel che comprendo meno, però, è la mutazione antropologica del tifoso napoletano. Facendo leva sul trauma del fallimento, De Laurentiis è riuscito culturalmente a sconfiggere Desmond Morris e a trasformare quel che credevamo essere un rito tribale in un’assemblea dei soci. Si badi bene, assemblea dei soci virtuale. Fittizia. Ed è qui che sta la grandiosità dell’operazione di De Laurentiis. Ci preoccupiamo dei conti del Napoli come se fosse la nostra azienda, come se i dividendi spettassero anche a noi. Dimenticando, di fatto, che invece noi siamo gli utenti, coloro i quali versano i soldi, arricchiscono le casse della società. Un evidente caso di transfert.

E in questa relazione può accadere anche che, al nome di Ibrahimovic, scatti per noi finti azionisti la preoccupazione che l’ingaggio dello svedese possa in qualche modo arrecar danno alle (virtuali) casse di famiglia. Tanto di cappello a De Laurentiis, cui va la mia infinita stima, ma tanta tristezza per quel che noi tifosi siamo diventati.
Massimiliano Gallo

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