La chiamiamo favola perché così sappiamo di cosa parliamo. Sappiamo di cosa profuma e di cosa odora un’impresa come quella del Bradford, che ieri sera ha eliminato l’Aston Villa e s’è qualificato per la finale di Coppa di Lega inglese. E’ una squadra di serie D che elimina una di serie A. D’istinto uno direbbe: come se il Potenza superasse la Fiorentina. Ecco. Perfetto. Come se. Perché il paragone funziona fino a un certo punto. Nel senso che da noi queste cose non succedono mai. Ma proprio mai. E per questo le chiamiamo favole. Sono belle, consolano, ti accarezzano, per fortuna restano chiuse dentro un libro e riguardano gli altri. Non noi, non il calcio italiano. La Spagna ha avuto qualche anno fa l’Alcorcon capace di battere in Coppa per 4-0 il Real Madrid. La Francia ha molto spesso squadre di seconda o terza divisione che si spingono in semifinale o finale di Coppa (Quevilly nel 2012, Guingamp nel 2009, Calais nel 2000). Manchiamo noi, manca l’Italia.
Non è un caso. E’ la struttura del calcio italiano che ha costruito un tappo. Cos’è il Bradford, in fondo? E’ la squadra di calcio di una città non piccola, 300mila abitanti, come fosse Catania. Gioca in Fourth Division e va in finale di Coppa di Lega partendo dal gradino più basso. Dice: però non succedeva dal 1962, era capitato al Rochdale. Oh, certo. Il 1962 un poco ci riguarda. E’ l’anno della Coppa Italia vinta dal Napoli, squadra di serie B, e nessun altro club italiano da allora ci è mai più riuscito. Fidatevi: non accadrà mai più. Nell’altra Coppa inglese, la vera e propria Coppa d’Inghilterra, i “miracoli” sono perfino più frequenti (i più recenti: la finale del Millwall nel 2004, Portsmouth-Cardiff finale 2008). Da noi no. Da noi le piccole sono piccole, e piccole restano. Devono restare. Hanno accesso a minori introiti per quanto riguarda i diritti tv: per lignaggio, per bacino d’utenza, oppure per un cavillo che di volta in volta le potenti di Lega trovano. E se non lo trovano, lo introducono. Le squadre inglesi che dalla Premier retrocedono in serie B, invece, hanno un budget supplementare come compensazione per il danno. Forse è criticabile pure questa forma di “assistenzialismo” – intanto perché squilibra la B e sportivamente produce l’effetto “ascensore” : retrocesso, promosso, retrocesso, promosso – ma è il segno di un’attenzione non solo ai più forti.
I miracoli non succedono per caso laddove le Leghe si preoccupano di fissare critieri che salvaguardano l’equilibrio. Al singolare. L’equilibrio. Non al plurale, gli equilibri, parola che sa di consorteria, di cerchio magico, e diciamo pure di clan. L’equilibrio. Significa che ogni voce è uguale all’altra. Che quando parla il Southampton, la sua visione del mondo pesa quanto quella del Liverpool. Come si chiama questo, se non calcio? “E se giochi a calcio da bambino, da bambino sogni di entrare a Wembley”, ha detto Matt Duke, il portiere del Bradford con la forza della semplicità. E sappiamo già quasi tutto pure di James Hanson, che ieri ha segnato il gol del pareggio e che qualche anno fa lavorava come commesso in un supermarket di Bradford.
Da noi la Coppa Italia è invece diventata la fotografia dell’idea che abbiamo del calcio. A una delle grandi basta una partita – una – per ritrovarsi ai quarti di finale. Ovviamente la gioca in casa. I turni precedenti non esistono. Si viene esentati. Non voglia mai che le tv si ritrovino con un Bradford in prima serata. La favola, quando ci riguarda, è un fastidio. Bradford, a noi, è un nome che dice altro. E’ la famiglia di quel telefilm che vedevamo alle 19,20 su Rete1 a fine anni Settanta. La storia dei Bradford si intitolava “Otto Bastano”. Proprio come al calcio italiano, proprio come le squadre sufficienti per giocarci la nostra Coppa. Otto bastano.
Il Ciuccio
Bradford, la favola che l’Italia non avrà mai
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