Ma lo striscione di solidarietà alle famiglie di Brindisi non l’ha visto nessuno?
Uno striscione, l’unico dell’intero stadio che non insultava nessuno e non aveva i colori del tifo: “Solidarietà alle famiglie di Brindisi”. Era nella curva azzurra, domenica, mi ha dato lo stesso brivido del gol di Cavani. Chi l’ha visto? Non ne trovo traccia nei commenti indignati sui fischi a Mameli dei tifosi del Napoli. Anche […]
Uno striscione, l’unico dell’intero stadio che non insultava nessuno e non aveva i colori del tifo: “Solidarietà alle famiglie di Brindisi”. Era nella curva azzurra, domenica, mi ha dato lo stesso brivido del gol di Cavani. Chi l’ha visto? Non ne trovo traccia nei commenti indignati sui fischi a Mameli dei tifosi del Napoli. Anche quelli del mio amico Gianluca Abate, con il quale ieri ho visto la partita in tribuna stampa, da un osservatorio molto privilegiato, che però non ci ha impedito di ricavare due conclusioni diametralmente opposte sul presunto “vilipendio” dell’onore nazionale.
Nessuno ha spiegato che i fischi sono partiti dal settore della Nord, lo stesso che poco dopo, durante il minuto di raccoglimento per le vittime di Brindisi e del terremoto, ha esposto quello striscione di solidarietà nei confronti delle famiglie della ragazzina uccisa e di quelle ferite. Quei fischi, scattati dal settore attiguo alla Monte Mario, in basso, si sono poi estesi a tutta la curva quando sullo schermo è apparsa l’immagine del presidente del Senato, Renato Schifani. L’istituzione, in quel momento, non è un caso.
Ecco perché fin dall’inizio ho attribuito a quella protesta sonora un significato molto, molto politico: di indignazione, protesta contro lo Stato che consente che un pezzo del territorio possa essere zona franca della malavita organizzata. In quelle ore si parlava dell’attentato di Brindisi come di un gesto mafioso, del resto Saviano l’aveva già battezzato così su twitter, come dubitarne. Ora forse la pista è diversa, ma cambia poco.
Quei fischi all’Inno e quello striscione di solidarietà esposto solo nel settore dei tifosi azzurri erano la rappresentazione della rabbia civile, quella che soli due giorni fa si era manifestata in piazza contro l’arcivescovo di Brindisi. Con i fischi, guarda caso. Come quelli contro Scalfaro e il governo di allora, ai funerali del giudice Falcone, come quelli recenti dei pastori sardi contro Napolitano, degli studenti universitari contro il Cardinale Ruini per le sue posizioni sulla fecondazione assistita, come quelli che da trent’anni e passa risuonano a Bologna ogni qual volta le istituzioni, siano esse di destra o di sinistra, ci mettono la faccia per commemorare la strage dell’80, tuttora avvolta nel mistero nonostante l’esistenza di una sentenza di condanna dei neofascisti che anche da sinistra si considera inattendibile.
Ieri sera, per una volta, e lo dico da napoletano intollerante con la deriva subculturale nella quale noi tutti lasciamo spesso navigare la nostra meravigliosa città (e anche la nostra tifoseria), io ho creduto di cogliere lo spirito della mia gente, la sua posizione rivoluzionaria e non retorica, non condivisibile, censurabile, certo, ma dignitosa, politicamente sensata, culturalmente nobile: la scossa, seguita alla solidarietà.
Tutto ciò nel giorno in cui lo Stato celebrava una Coppa calcistica, invece di fermare lo sport, come forse non avrebbe dovuto fare per Morosini, vittima di un evento naturale ma finito nel tritacarne della retorica sui valori della solidarietà sportiva. Ecco perché nel giorno della criminalizzazione della tifoseria partenopea, io la difendo con gli argomenti di chi c’era e ha visto. E ha sentito. Anche quelle voci “Napoli merda!” risuonate dalla Monte Mario nel silenzio, durante il minuto di raccoglimento. Un altro dettaglio trascurato. Chi ha sentito?
Luca Maurelli