Benvenuti nel club degli antipatici. Il Napoli fa un passo in avanti verso il novero delle squadre che risultano odiate: quelle che vincono e verso le quali chi perde prova invidia. Fino ad oggi, invece, gli azzurri erano un po’ una squadra simpatia.
Intendiamoci. Non che il Napoli fosse la mascotte d’Italia. Anzi, negli slanci di razzismo interno che colorano gli stadi italiani, verso di noi emerge l’astio più viscerale. Lo sappiamo bene, ma quello è un sentimento che riguarda i napoletani come popolo, per lo stereotipo che Napoli rappresenta nel Paese. Siamo la causa di tutti i mali, dell’arretratezza, del debito, della malapolitica. Se non proprio la causa, ne siamo il simbolo. Non ce lo possono perdonare.
Il Napoli inteso come 11 in campo, al contrario, suscita simpatia. In fin dei conti veniamo apprezzati per essere una squadra dal gran cuore e spesso dal calcio divertente. Me ne sono reso conto stando a Milano: qui è difficile trovare qualcuno che ti dica di non stimare i tre tenori, Maggio, il progetto societario (fatta eccezione di Mazzarri e De Laurentiis). Tutti sostengono di aver tifato per noi in Champions. Un po’ come il Chievo 10 anni fa: risultiamo simpatici.
Perché? Perché in questi anni siamo stati un club dal grande ardore, che ha raggiunto pure risultati interessanti, ma che non ha mai vinto. E tu, per una squadra alla fine inoffensiva, un utile idiota del campionato, un po’ di stima e di simpatia la puoi spendere. E’ esattamente il motivo per il quale tutti si sperticano le mani per l’Udinese, oggi.
Invece è chi vince che risulta insopportabile. Perché chi vince ha ragione, si può permettere di essere arrogante e ti toglie qualcosa. Come Mourinho, il Real, la Juve di Moggi o l’Inter del dopo calciopoli: qualcosa che da avversario non puoi tollerare, che nel momento del trionfo alza uno steccato tra sé e gli altri, che fa felice solo i propri tifosi.
Ecco, quello di Roma è stato per il Napoli il primo passo, dicevamo, verso il club degli antipatici. Abbiamo vinto e cominceranno a guardarci con diffidenza. Ora speriamo di continuare lungo questa strada.
Roberto Procaccini