Cinema. Che passione. Quasi una malattia. Si contrae in giovane età. E non si guarisce più. Personalmente sono un grande consumatore di cinema. Sia chiaro: ho detto un consumatore. Non un esperto. O un intenditore. Soltanto un grande consumatore. Di quelli per i quali le sere ideali del sabato e della domenica si passano a cinema (e poi a cena). Di quelli che nel giudicare un film ricorrono a parametri elementari. Ed a giudizi ancor più elementari. Ti è piaciuto il film? Sì. No. Così così. Senza ricorrere a sforzi di esegesi che spesso rischiano di trasformare un film in un trattato.
Ed a questo proposito parliamo un po’ di un grande regista napoletano. Francesco Rosi. Nacque a Napoli nel 1922. Vi compì gli studi frequentando la facoltà di giurisprudenza. E a Napoli si avvicinò alla radio lavorando alla celebre emittente Radio Napoli. Alla quale collaboravano tra gli altri Luigi Compagnone, Raffaele La Capria, Giuseppe Patroni Griffi, Domenico Rea , Antonio Ghirelli, Stefano Vanzina, Leo Longanesi …. Di La Capria e Patroni Griffi, in particolare, Francesco Rosi divenne molto amico e collaborò con loro. Con il primo sceneggiò Le mani sulla città ed Uomini contro. Con il secondo I magliari. Come tutti i grandi artisti Francesco Rosi divenne con il passare degli anni un cittadino del mondo. Senza mai però rinnegare le sue origini. Nei suoi film sono spesso presenti temi legati a Napoli e , più, in generale a tutto il mezzogiorno.
Quando fu organizzato da Benedetto Gravagnuolo, presso il Centro Convegni della Federico II, un incontro con Francesco Rosi ne fui entusiasta. Ricordo che fu proiettato uno dei suoi capolavori, “Le mani sulla città”. Autorevoli studiosi discussero dell’attualità della pellicola (il film è del ‘63). E fu esposta una mostra sul materiale utilizzato per sceneggiare il film. Mostra allestita in occasione del conferimento al grande regista di una laurea honoris causa in “Pianificazione Territoriale ed Urbanistica” da parte dell’Università di Reggio Calabria. La prima cosa che ho fatto in quella occasione è stato scaricare da internet la filmografia di Francesco Rosi. Scoprendo (ma ne ero certo) di aver visto quasi tutti i suoi film. Ed alcuni più volte. Dei diciassette titoli non ricordavo soltanto “Camicie Rosse” del ‘52 ed “Il momento della verità” del ‘65. Il primo, tra l’altro, segnò il suo esordio. E fu un completamento. Infatti gli era stato affidato il compito di portare a termine il film quando il regista Alessandrini gettò la spugna. A seguito di una lite con la protagonista, Anna Magnani. Gli altri mi sono rimasti tutti nella mente. Da “La sfida” (il suo vero esordio,’58). A “Il caso Mattei”(‘72). Da “ Cadaveri Eccellenti” (‘76). A “Cristo si è fermato ad Eboli”(‘78). Per non dire di “ Salvatore Giuliano”(‘61) che, secondo Mereghetti, è “un modello per il genere del film-inchiesta e un caposaldo di quel cinema d’impegno civile che oggi si sta tentando di riportare in auge” (Marco Tullio Giordana?).
E’ un autore d’inchiesta, dunque (ma non solo). Di denuncia. Attento studioso di grandi temi socio-politici. In particolare della storia del Mezzogiorno. Il suo racconto è semplice e lineare. Al tempo stesso capace di trasmettere emozioni. Di coinvolgere. E non è monocorde. Gli esperti gli riconoscono la capacità di passare con grande maestria dal linguaggio realista a quello metaforico. Capacità propria dei più grandi artisti del cinema. Ad esempio, a proposito di “Cristo si è fermato ad Eboli”, dice testualmente Tullio Kezich “il regista affida la sua ricerca alla macchina da presa in un’ottica tutt’altro che neorealistica, anzi stilisticamente molto raffinata”. Ed ancora Kezich, commentando “Cadaveri eccellenti”, afferma “L’opera di Rosi è importante e resiste nel tempo… perché affida i suoi significati a una scrittura cinematografica di alto rigore. La ricerca della verità storica, nei grandi film meridionalisti di Rosi, si sviluppa attraverso un recupero di paesaggi, monumenti, facce, mimiche e suoni che conservano il loro carattere di reperti e tuttavia diventano elementi di uno stile .L’autore abborda con il bagaglio di Salvatore Giuliano un cinema di metafora”. Per inciso, Cadaveri Eccellenti è tratto da “Il Contesto” di Leonardo Sciascia. Potevano non incontrarsi due artisti, per molti versi, tanto simili?
La carriera di Francesco Rosi è costellata di premi e riconoscimenti. Nel 1963 Leone d’oro alla mostra del cinema di Venezia per Le Mani sulla città. Nel 1972 Palma d’oro a Cannes per Il caso Mattei. Dieci David di Donatello. Tre nastri d’argento. E nel 2008 Orso d’oro alla carriera al Festival di Berlino.
Al di là delle valutazioni degli esperti. Dei critici più accreditati. Delle dotte distinzioni tra realismo, neo-realismo e metafora.
Mi sono chiesto perché Rosi piaccia tanto. Perché mi piaccia tanto. Perché i suoi film non si dimenticano? Ed ho trovato la risposta. Perché tratta temi avvincenti. Che ti tengono attaccato alla poltrona. Facendosi capire. Proprio così. Rosi parla sempre una lingua comprensibile. Non è di quegli autori che scambiano semplicità con banalità. E chiarezza con superficialità. E che, di conseguenza, sembrano prigionieri dell’idea che per essere interessanti occorra necessariamente essere contorti. E che non si possa essere profondi se non attraverso un linguaggio oscuro. Mai mi è accaduto di uscire da una sala dopo la proiezione di un film di Rosi con dei dubbi interpretativi. Dovendo, magari, attendere la spiegazione di un amico “vero” competente (tutti ne abbiamo almeno uno). O, ciò che è peggio, di dover ricorrere ai lumi della critica. Un grandissimo autore intelligibile. Sempre. E vi par poco?
Guido Trombetti
(2/continua. La serie sui napoletani illustri è cominciata con un articolo su Renato Caccioppoli)