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Dieci o settant’anni, ‘O surdato ‘nnamurrato unisce le generazioni

Ognuno di noi ha una storia da raccontare che lo lega all’amore per la propria squadra. Una storia fatta di aneddoti, circostanze ed emozioni che hanno portato a scegliere una squadra piuttosto che un’altra. Per alcuni, il problema della scelta non si è proprio posto. Il protagonista di questa storia è solito dire che è stato educato ad amare il Napoli fin dal momento della sua venuta al mondo, ossia in un freddo pomeriggio di un mercoledì qualsiasi del 1978. E da lì vorrei partire, riportando alcuni aneddoti, per raccontarvi come ha vissuto ieri il suo Napoli-Manchester City.

In un pomeriggio come tanti, veniva alla luce il primogenito maschile di una classica famiglia meridionale. Una nascita tanto ricercata che seguiva quella di tre femmine nel giro di quattro anni. Un evento indimenticabile per il solerte papà che, tuttavia, non poté godersi in pieno la gioia di un momento tanto atteso. Un altro impegno lo teneva lontano quel pomeriggio da quel letto di ospedale al Cardarelli. Ritenuto nella sua piccola cittadina come l’emblema del tifoso del Napoli, fondatore di uno dei primi Club Napoli affiliato all’AINC guidata dall’indimenticato avvocato Crescenzo Chiummariello, aveva organizzato proprio in quella giornata una visita dei calciatori del Napoli nel suo paese. Emozionato come non mai, aveva due buoni motivi per brindare con i suoi sodali. Alla presenza di Moreno Ferrario e Claudio Vinazzani poté annunciare alla comunità la nascita del tanto atteso pargolo. Un marchio che ha accompagnato il ragazzo per tutta la vita. Tutt’oggi, quanti hanno vissuto quella giornata gli ricordano, a mo’ di leggenda popolare, di essere stato battezzato da Vinazzani. Ed è convinzione di molti che si tratti effettivamente del suo padrino.

Domenica 23 novembre 1980. Giornata tragica di cui oggi ricorre l’anniversario. La Campania tutta è sconvolta dal terremoto. Quel papà di quattro figli, tra i quali l’erede di appena due anni, apprende la notizia dalla radio mentre è in viaggio. Non si trattava di lavoro, ma del viaggio di ritorno da Bologna, dove si era recato per seguire il Napoli che aveva ottenuto un soddisfacente pareggio contro la squadra locale.

Potrei continuare all’infinito, ricordando la prima trasferta fatta insieme quando il ragazzo aveva solo quattro anni (un Roma-Napoli 5-2 del 1982), le intere stagioni vissute al San Paolo negli anni d’oro di Maradona e le serate di Coppa Uefa, inclusa la finale con lo Stoccarda. Un sodalizio lungo un decennio che si conclude con l’ultima partita vista insieme: Argentina-Urss di Italia ’90, con in campo la storia del calcio, suggellato dall’acquisto di una sciarpa della Celeste conservata dal ragazzo tra i ricordi più belli della sua infanzia.

Da allora le strade si dividono. Il padre, vittima di qualche acciacco ad un cuore indebolito anche dal tifo per il Napoli, comincia a rinunciare al rito domenicale recandosi molto sporadicamente al San Paolo. Ormai diventato adolescente, il figliolo si affranca dalla compagnia paterna per andare allo stadio con gli amici. Nel giro di qualche anno, l’avvento della tv commerciale cambierà definitivamente le loro abitudini.

Uno spaccato di vita comune a tanti altri ragazzi di un’intera generazione, quella che ha avuto la fortuna di vedere un Napoli vincente e comprendere il significato profondo di quelle vittorie, grazie anche a genitori che li hanno educati ad essere tifosi e ad amare una squadra ed una maglia, indipendentemente dai risultati. Per dirne una: nonostante la definitiva rinuncia allo stadio e l’impossibilità di fare trasferte, questo papà ha preteso di farsi la Tessera del Tifoso, per una sola ragione: avere una certificazione del suo essere un tifoso del Napoli. Per lui, si tratta dell’unica, vera carta d’identità.

L’adolescenza del ragazzo è stata vissuta fantasticando con i racconti del padre legati alle gesta del Napoli, dalle improbabili trasferte per seguire la squadra nelle competizioni europee (da quella contro il Grassoppher scusa buona per visitare il parente emigrato in Sivzzera, passando per quella in terra di Norvegia contro il Bodo Glimt nella Coppa delle Coppe del 1977 ed i gol di Speggiorin fino all’amara serata di Anderlecht ed il ricordo di un tale arbitro Bob Mathewson, per il quale il ragazzo ha maturato un’antipatia viscerale senza conoscerne nemmeno il viso) all’indimenticabile partita con la Juventus di Altafini, che di riflesso ha alimentato altri sentimenti connaturati al suo essere tifoso del Napoli. Potete immaginare quali. Ed affianco a questi, i ricordi di un nonno a cui il nostro protagonista era legatissimo. Quel nonno che portava il suo stesso nome e cognome e che, dopo la vittoria del primo scudetto del Napoli, ebbe modo di dirgli: “Ora posso andarmene sereno”. Fece in tempo a godersi anche il secondo scudetto per poi passare, dopo due anni, a miglior vita.

Ed arriviamo ad ieri. Dopo un lungo ventennio, l’ormai settantenne grande tifoso esprime un desiderio: vorrei ritornare allo stadio per vedere in vita mia almeno una partita di Champions e poter sentire quella musichetta dal vivo. Messe a tacere le giustificate ansie di una moglie e mamma preoccupata, muniti di una grande dose di incoscienza, i due mettono in atto il blitz perfetto: biglietto acquistato e desiderio realizzato. Il resto spetta a quei ragazzi che scenderanno al campo.

Rispolverata per lui la vecchia sciarpa dell’Argentina, al papà viene fatta indossare una bianca con la scritta “Ciuccio, fa tu!”, con il loghetto di un sito web che tanto gli piace. Per il padre ed il figlio, si tratta della gioia di rivivere insieme un rito a distanza di ventun’anni. Arrivo allo stadio in tempo dedito, acquisto dei caffè borghetti e “merenda” sottobraccio. Tutto come una volta. Si entra e non resta che attendere.

Un’altalena di emozioni che mettono a repentaglio anche il cuore più forte, figurarsi quello sensibile del papà. Dalla delusione per il pareggio, alla felicità per quel 2-1 segnato sotto i loro occhi, passando per le palle gol fallite da Maggio ed Hamsik all’ansia per l’assedio finale. Sappiamo tutti com’è andata a finire. Nel migliore dei modi possibili.

Una gioia incommensurabile che, letta negli occhi di quel padre ed in quelle lacrime di felicità mentre cantava ‘O surdato ‘nnamurrato, assume un valore ed un significato diverso.

Un grazie di cuore a questi ragazzi per aver regalato ad un vecchio tifoso un’emozione che mai potrà dimenticare. Meritano tutto il nostro affetto per quanto fatto finora, a prescindere da quale sarà il risultato finale.
di Michele Affinito

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