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La tremenda vendetta di un cronista dai tempi del Vomero

Vendetta, fantastica ed esaltante vendetta per il vecchio cronista al seguito del Napoli dai tempi del Vomero, una vita azzurra. Milano: da quarant’anni avevo un magone dentro, una pietra dura sul cuore. Un magone che è durato tanto, da una domenica di marzo del 1971. Era “proibito” vincere a Milano. Era più che proibito vincere sul campo dell’Inter, squadra padrona in ogni senso. Era proibitissimo vincere se casomai, in classifica, stavi vicino ai nerazzurri e potevi minacciarli lassù, in testa alla graduatoria.

Questa era la condizione alla vigilia di quel match del 21 marzo. Milan 32 punti, Inter, 31, Napoli 29. Le vittorie contavano due punti al tempo di palla lunga e pedalare.

Era il Napoli di Chiappella che andava a sfidare l’Inter in un inimmaginabile duello al vertice. Sotto la bacchetta magica di Totonno Juliano era una squadra di vecchi assi, Sormani 33 anni e Altafini 32, di un monumento in porta, Dino Zoff, di un centravanti d’avventura, Gasparino Umile di Marsala, del baronetto Improta ala sinistra tattica, di una coppia bene assortita di terzini, Ripari e Pogliana, e di una fantastica mediana: Zurlini, Panzanato, Bianchi. Ed era l’Inter di Burgnich, Jair, Mazzola, Corso.

A Milano non fa freddo, aveva scritto Giuseppe Marotta. Per il Napoli era sempre gelo. Partite perse irrimediabilmente. Era come se, sul frontone di San Siro, con le targhe di tutti i trionfi dell’Inter europea e mondiale, ci fosse scritto: “Di qui non si passa”. E non si passava. Mi raccontava Pesaola di quel suo fantastico gol che batté Matteucci, dette la vittoria al Napoli 1-0 e schiantò l’Inter sul suo campo nel lontano 1958. L’immagine di quel gol divenne la sigla della “Domenica sportiva”. Una rosa tra tante spine.

A Milano non si vince. Ma in quella domenica di marzo stava per avvenire il miracolo. Altafini andò in gol alla fine del primo tempo. L’arbitro espulse Burgnich e l’Inter rimase in dieci. Proprio come sabato sera. Ma l’Inter controllò il minimo svantaggio e poi passò due volte con Boninsegna, la prima volta con un rigore-aiutino dell’arbitro Gonella. Il contrario di sabato sera. L’Inter respinse l’assalto del Napoli. Volò a 33 punti alla pari del Milan e staccò gli azzurri di 4 punti. Si preparò a vincere lo scudetto. Non ci riusciva da cinque anni. Sulla panchina nerazzurra c’era Invernizzi, che era subentrato ad Heriberto Herrera dopo cinque partite.

Se sei in dieci e giochi giudiziosamente puoi farcela. Il vecchio calcio all’italiana ammoniva che, se prendi un gol e perdi un giocatore per espulsione, devi “difendere” il minimo svantaggio in attesa del colpaccio per rimontare. Quella domenica di marzo, Chiappella disse: “In dieci si gioca meglio”. Com’è, allora, che sabato sera l’Inter non ha giocato meglio? Difesa troppo allegra, fuori posizione, infilata in velocità. Tre occasioni-gol per Zuniga, una clamorosa, davanti alla porta vuota, tiro oltre la traversa. Pandev solo in area che pasticcia sull’assist veloce di Lavezzi e si fa chiudere. Un uomo solo davanti al portiere l’Inter di sabato non l’ha messo mai tranne che nell’occasione di Forlan che, nell’area azzurra, svirgolava il pallone.

Un uomo il Napoli l’ha sempre messo davanti alla porta di Julio Cesar. Dopo l’occasione sfuggita a Pandev, è stato così nell’azione del secondo e terzo gol. Solo Maggio contro Nagatomo nel raddoppio. Solo Hamsik in area dopo avere sorpreso la difesa nerazzurra in linea e immobile sull’assist filtrante di Lavezzi. Solissimo Zuniga davanti alla porta interista spalancata dopo il rapido scambio con Hamsik. Palla alta.

Vendetta sì. Quarant’anni fa, una portatile dell’Olivetti era la nostra compagna inseparabile. Ne accarezzavamo i tasti quando si poteva lavorare tranquillamente. Li martellavi e li tormentavi quando il tempo stringeva ed eri in preda ad un vero furore agonistico. Non c’erano i computer, così insensibili e delicati. Non puoi picchiarne i tasti perché il computer andrebbe in tilt. Ma sull’Olivetti potevi scatenare tutto il furore.

Così fu quella domenica di marzo di quarant’anni fa a San Siro. Per il resoconto della partita picchiavamo i tasti della Olivetti con furia selvaggia. Perché il “miracolo” era sfumato. Perché la “legge di San Siro” era rimasta ancora una volta inviolata. Perché l’aiutino di Gonella aveva proiettato l’Inter al sorpasso. Gemeva la piccola Olivetti, quarant’anni fa.

Dovevamo prenderci una rivincita ed è arrivata alla grande. Con l’arbitro non più favorevole ai padroni di casa. Col Napoli di Mazzarri sicuro di sé, grande personalità e determinazione e, finalmente, la certezza di essere una squadra di vertice. Soprattutto con gli episodi contestati furiosamente dall’Inter che rendono più gustoso il successo azzurro. Limpido, ma anche con la maliziosa impressione che i tempi sono cambiati.

MIMMO CARRATELLI (da La Repubblica)

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