E se anche a Napoli Steve Jobs avesse avuto fortuna?
USA 1976, in California un giovane di nome Steve Jobs, di appena 21 anni, dopo il diploma non ha alcuna voglia di frequentare un college, anche perché risultavano molto costosi per chi non eccelleva in qualche sport universitario, nel qual caso, gli studi sarebbero risultati praticamente gratuiti. Nello stesso periodo in Italia, Campania, Gennarino Esposito […]
USA 1976, in California un giovane di nome Steve Jobs, di appena 21 anni, dopo il diploma non ha alcuna voglia di frequentare un college, anche perché risultavano molto costosi per chi non eccelleva in qualche sport universitario, nel qual caso, gli studi sarebbero risultati praticamente gratuiti.
Nello stesso periodo in Italia, Campania, Gennarino Esposito ha finito il liceo e va all’università solo perché, avendo ottenuto il massimo dei voti, l’iscrizione risulta praticamente gratuita, ma anche per ottenere il rimando militare.
Steve ha un amico che oltre ad avere il suo stesso nome di battesimo (di cognome fa Wozniak), nutre anche la stessa passione per tutto quello che tratta di elettronica.
Anche Gennarino ha un amico che si chiama come lui, di cognome fa Caputo ,e, come lui, è un piccolo mago dell’elettronica.
“Steve, che vogliamo fare?”. Disse Steve a Steve. “Potremmo mettere su un’attività legata alla nostra comune passione e cercare di guadagnare qualcosa”.
Intanto da noi:“Ennà, ca, o ce mettimmo a vendere sigarette di contrabbando o ci arruoliamo nell’esercito” Disse Gennaro a Gennaro. “A meno che non ci facciamo venire qualche idea”.
Steve & Steve potevano contare su un pulmino ed una calcolatrice, oltre ad avere la possibilità di poter sfruttare un garage a Santa Monica, di proprietà del padre di uno dei due Steve.
Anche il padre di uno dei Gennari aveva un capannone, ad Arzano, e lo mise a disposizione dei due ragazzi, che, come i loro coetanei americani, avevano anche un pulmino ed una calcolatrice. Di “fare le sigarette” nemmeno se ne parlava. Non avevano la necessaria cultura e poi non avrebbero saputo neanche dove rifornirsi. Decisero così di mettere su una piccola fabbrica di computer. Si recarono al mercatino delle pulci e barattarono il loro pulmino e la loro calcolatrice con pezzi usati di computer che non avrebbero trovato posto neanche in una discarica abusiva regolarmente gestita dalla camorra. Ma la loro bravura superò ogni più ottimistica previsione e riuscirono a tirare su dei macchinari che, stranamente, potettero anche vendere. A mano a mano che la voce si spandeva, le richieste aumentarono, ma loro non avevano liquidi per comprare nuovi pezzi poiché i primi acquirenti avevano regolato il pagamento con assegni postdatati a 90 giorni. Il che, visto l’andazzo, era contante allo stato puro. Cercarono di monetizzare gli assegni da uno strozzino onesto, al quale si rivolgevano regolarmente i padri di entrambi i Gennari quasi ogni mese, e che si offrì di scontare gli effetti trattenendo solo il 30% per sé.
Nel frattempo anche Steve & Steve vendettero i loro beni ed impiantarono nel garage paterno una piccola fabbrica di accessori elettronici. Il lavoro non mancava, ma anche a loro il liquido scarseggiava. Ebbero un’idea: si fecero fare le richieste di apparecchiature per iscritto su carta intestata dai potenziali clienti e le portarono in banca. Il direttore della Filiale di Santa Monica della First Bank, prese l’incartamento e decise di concedere un prestito di 50.000 dollari, con i quali i due ragazzi cominciarono a produrre i loro macchinari su vasta scala, poi venne un socio, tale Markkula, che versò una cospicua somma per rilevare un terzo della società. Nel giro di un anno raggiunsero il milione di fatturato. Era nata la Apple. Quattro anni dopo veniva quotata in borsa.
Gennaro e Gennarino erano arrivati al limite delle risorse economiche. Avevano venduto anche le collezioni di dischi e di fumetti a cui tenevano tanto. Andarono dal direttore di una banca di Arzano che quel giorno era assente perché era in permesso sindacale. Il suo vice li invitò a ripassare tra qualche giorno in quanto lui non poteva prendere nessun tipo di decisione. “E pecchè nun chiurute?” Avrebbero voluto rispondere all’unisono i due Gennari. Ma si trattennero per non compromettere l’esito della richiesta prima ancora di averla formulata. Per andare avanti ricorsero ad alcuni prestiti parentali. Una delle nonne rinunciò alla riparazione della dentiera e riuscì ad offrire ottantamila lire in cambio di una futura quota nella società. Inutile dire che la vecchietta non capì bene cosa le avessero offerto in cambio di quel sacrificio, che avrebbe fatto comunque volentieri, anche senza bisogno di corrispettivi futuri benefici aziendali. Dopo una settimana i due si presentarono in banca ed il direttore chiese loro quale fosse il numero di conto corrente per esaminare la loro posizione. “Veramente non abbiamo un conto. Vorremmo aprirlo, possibilmente con un piccolo scoperto di una decina di milioni di lire”. Al direttore dovettero dare assicurazioni che non si trattasse di un paio di pazzi fuggiti dal vicino manicomio criminale di Aversa. Spiegò loro che ci voleva un conto corrente. Ma per aprire il conto corrente ci voleva una busta paga o una partita IVA, e per aprire una partita IVA bisognava aprire un’attività. Ed era proprio quello che loro volevano fare. Ma non avevano il conto corrente. Un intrigo infernale da cui era impossibile uscire. “Mio padre è pensionato e ci ha il libretto dell’Inps. Può servire?” “Potreste costituire una sas, dove il genitore funge da socio accomandante ed intestare il conto alla società”. Per costituire la società ci voleva un atto notarile, la registrazione all’ufficio del registro, il certificato antimafia, azotemia, colesterolo e tasso di glicemia. Decisero di andare avanti senza licenze. Le vendite procedevano bene. Ma venne l’Asl per il certificato di abitabilità ed il cambio della destinazione d’uso del locale, che era accatastato come deposito. Inoltre i servizi igienici non erano a norma. Anzi, non erano proprio, in quanto i ragazzi, in cambio di piccoli servigi come riparazioni di phon o rasoi, andavano a fare i loro bisogni nel negozio di barbiere adiacente il loro opificio. Tutto si sistemò in cambio di piccoli regali e, poiché si era in prossimità del Natale, con qualche piccolo “canisto” per le feste. Ma la cosa si ritorse contro di loro. I colleghi dei beneficiati, capita l’antifona, sempre in ossequio al clima natalizio, si presentarono come i Re Magi: vigli urbani, ufficio tecnico e polizia sanitaria. Esaurirono anche la mirra, oltre a oro e incenso. Comunque riuscirono a proseguire nella loro attività, che andava sempre meglio, nonostante le difficoltà, diciamo, logistiche. E qui fu commesso un altro errore. Il più grave. Cominciarono a fare pubblicità ai loro prodotti. Non appena installarono un’insegna sulla facciata dell’ex deposito, ormai diventato un vero e proprio stabilimento, si presentarono un paio di guaglioni che dissero di essere in rappresentanza del gruppo degli “sciovinisti”, una sigla autonoma già affiliata alla camorra, così autodefinitosi per la gran mole di lavoro abituata a svolgere anche in prossimità delle sante feste. “Ma veramente, avremmo già contribuito per le luminarie di Natale”. “Quelle sono una tantum, qua si tratta di definire l’importo netto mensile”. Con loro grande stupore i ragazzi appresero da quei signori cifre inerenti l’attività imprenditoriale fino ad allora sconosciute perfino al loro commercialista. “Non è giusto, esclamò Gennaro, non ci possono minacciare così, ci dobbiamo ribellare: non ci possono uccidere tutti”. “Tutti, no, rispose l’altro Gennaro, ma a noi soli si!”. “Ma così ci rendiamo complici di un reato” ed il primo Gennaro: “Se ci becca la legge,ormai ci possiamo permettere di pagare un buon avvocato, se ci beccano gli altri non ci basta neanche il Perry Mason dei nostri colleghi Steve californiani”.
Oggi i due Gennari sono due affermati industriali e, ad uno di loro è stato pure offerto un seggio sicuro in Parlamento, l’altro pare abbia rifiutato, preferisce occuparsi del ramo serio dell’azienda.
Per la serie, anche a Napoli è possibile emergere se si hanno buone idee.
Liberamente ispirato ad uno scritto dal blog di A.Menna.
Pasquale Di Fenzo