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Un regalo, raccontare il prato del San Paolo

Meno sette giorni precisi. Ovvero, tra una settimana è il mio compleanno. L’11 maggio, mercoledì prossimo, appunto (e, vista la data, non mi chiedete, poi, perché amo tanto Christian Maggio..). Detesto ogni tipo di festa comandata, dal Natale all’Epifania al Capodanno passando per la Pasqua e persino per il Carnevale, ma adoro il mio compleanno. Lo festeggerei per una settimana intera, mi fa impazzire. Ogni anno mi faccio un regalo, stavolta mi sono comprata il computer nuovo, chè per scrivere ne avevo un dannato bisogno. Ma ho anche un sacco di altri desideri: la targhetta di ceramica con i cognomi mio e del martire da mettere fuori alla porta della casa nuova, un cestino per il pane, un golfino fucsia, un mazzo di gerbere,  il secondo posto in campionato (che probabilmente si deciderà di lì a poco, il 15 maggio) e, soprattutto, un sogno a cui penso da tanto, troppo tempo e che voglio raccontarvi qui. Mi piacerebbe entrare al San Paolo, ma non sugli spalti che frequento già ad ogni partita casalinga. Mi piacerebbe che qualcuno mi portasse su quel campo, su quel prato. Il mio sogno è calcare quella scena. Fare una passeggiata da una porta all’altra, magari con l’I-pod nelle orecchie mentre passa Life is Life, degli Opus, pensare a Lui che si scalda andando a tempo con la musica, guardare il cielo in alto e assaporare ogni singolo passo. Fermarmi ogni tanto a toccare l’erba ricordando uno ad uno tutti quelli che l’hanno calpestata prima di me e immaginando il lavoro di giardinieri, massaggiatori, magazzinieri, preparatori atletici, allenatori, giornalisti, tutti. Restare immobile a centrocampo e guardarmi tutto intorno, a centosessanta gradi, guardare in alto, verso tutti i settori del nostro Tempio e, concentrandomi appena un po’, riuscire ad annullare tutto ciò che c’è nell’aria e sentire i cori, le palpitazioni, le urla, toccare per un attimo le speranze, le ansie, le lacrime di gioia e di dolore. Guardare i posti occupati da me e dal Martire da laggiù. Toccare la rete delle porte e immaginare Morgan – e tutti quelli venuti prima di lui – che ci sta dentro e aspetta, vigile, di intervenire in difesa o di esultare ad un gol nella porta opposta. Poi ripercorrere tutto il perimetro, andare a toccare le bandierine da cui sono stati tirati milioni di calci d’angolo e ad ogni settore del campo fermarmi un attimo a guardarmi attorno. Mi piacerebbe da morire essere una formichina in tutta quella vastità e meraviglia. Imprigionare per un attimo il mio cuore esattamente là dentro, una volta in più dell’ultima partita che andrò a vedere dagli spalti della Posillipo contro l’Inter, il cui pensiero già mi fa star male dalla nostalgia. Certo, mi piacerebbe pure guardare al di sotto dello stadio cosa c’è, tipo visitare gli spogliatoi e tutte le altre cose di cui neppure immagino l’esistenza. Ma il mio sogno più grande è un sogno da bambina, nonostante stia per compiere trentanove anni. Insomma, non lo so se qualcuno possa fare questo per me, ma, se c’è, sappia che ne sarei dannatamente felice e magari, in cambio, potrei raccontare quello che si prova stando laggiù. Ho solo le parole per farlo. Tutto il resto potrebbe essere poesia. E Forza Napoli. Sempre.
di Ilaria Puglia

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