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Stiamo arrivando
Milano, stiamo arrivando

Insomma, si va. Perché non si può non andare. Perché, ci perdoni il maestro Carratelli, erano vent’anni che aspettavamo questo momento. E pazienza se non sembra la stessa cosa (è innegabile, non è la stessa cosa, ma per me nemmeno il mondiale del 2006 fu come quello dell’82), noi però siamo là, a meno tre, e sperare costa zero. Tanto ai risvegli amari ci siamo abituati. Neanche me le ricordo più tutte le volte che ho lasciato San Siro in silenzio, sguardo basso. Persino ai bei tempi. Quando gli interisti ci accolsero con un simpatico striscione: “Hitler, con gli ebrei anche i napoletani”. Ricordo il gol di Maldini dopo quaranta secondi, poi ce ne fecero altri quattro. E, più recentemente, un’altra cinquina con l’esordio di Pato.
Ma non possiamo non andare. Ci avviamo un giorno prima, camuffando la trasferta da gitarella. Cercando quasi di non pensarci. Ma io lo so che poi lunedì mattina mi metto a guardare tutti i imilanesi in faccia cercando di scorgere i loro umori, le loro sensazioni;  mi fermo nei bar, ascolto, sfoglio la Gazza, sempre pronto a cogliere qualcosa.
Loro fanno finta di snobbarci, di certo temono più l’Inter, non fanno gli spavaldi ma in cuor loro sono certi di vincere. Però siamo rognosetti, lo sanno. Dovranno intimidirci, come fece due anni fa Gattuso con Hamsik, altrimenti proveremo a giocarcela. E sugli spalti saremo in rapporto di uno a due. In trasferta sì, ma con moderazione.
Alla fine non mi è andata giù l’eliminazione dalla Coppa, soprattuttto dopo una partita giocata così, però ora siamo su un binario unico. E dobbiamo andare a tutta. Lo so che siamo carichi, lo sento.
Il vero interrogativo è come comportarsi nel piazzale di San Siro: mangiarlo o no il panino con la salamella? A memoria, dagli anni Ottanta al secondo decennio del duemila, ha sempre portato male. Ma sarà da questi particolari che si giudica una sfida scudetto?
Massimiliano Gallo

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