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Persi nella nebbia a caccia di news dal S.Paolo

Sabato pomeriggio uggioso, per i napolisti del Nord Italia. Un po’ come per gli azzurri al San Paolo. Persi tra la bruma della Val Padana come Lavezzi e Cavani tra le maglie viola.
Visibilità scarsa, sull’asse Sosa-resto della squadra, un po’ come sull’A4 Milano-Brescia, ore 17.45 di un sabato di metà gennaio: praticamente è l’ora del riscaldamento pre partita, noi infatti accendiamo quello della macchina a tutta forza perché “l’umidità ti fa male”, come dice l’inizio di una vecchia e famosa canzone  (o forse era la verità?) che passa all’autoradio, mi sembra sia Caterina Caselli. A proposito di caselli, ecco, appunto, quello di Bergamo, destinazione della gitarella programmata da tempo, prima che la Lega mettesse mano al calendario degli anticipi. No, ok, non parliamo di Lega in quel di Bergamo, piuttosto vediamo di trovare il luogo dell’appuntamento senza fare danni nel traffico, che c’abbiamo anche la macchina targata BS…
Calcio d’inizio, pardon orario d’incontro fissato alle 6, guarda un po’. Il fischio arriva ma non è Banti, è un vigile che ci fa cenno di toglierci di lì. Meglio non discutere, che siamo un napoletano e una bresciana in divieto di sosta a Bergamo (vabbè, ovviamente se ci fermano comincerò a parlargli di quanto è forte quest’anno l’Atalanta e proverò così pateticamente a buttarla in caciara…).
I nostri amici sono (per fortuna) più puntuali di Santana sotto porta, e la serata può iniziare. Lasciamo la macchina (e l’autoradio…), ci incamminiamo verso la parte alta della città, ci infiliamo in qualche negozietto per “sfruttare la finestra di mercato” e cercare le ultime occasioni tra i saldi. Un po’ Britos un po’ Ogbonna, anch’io come Bigon cerco di puntellare la difesa (dal freddo pungente, con una nuova sciarpa), proprio mentre il lottatore Grava deve dare forfait per infortunio. Io questo non lo so ancora, mi aggiro tra i bar del centro cercando di sbirciare da fuori le vetrine appannate i teleschermi che trasmettono il match.
Intervallo, il cellulare ha ancora campo ma sta dando segni di cedimento, le tacche diminuiscono inesorabili come la visibilità per la strada e i minuti a disposizione degli azzurri per sbrogliare la matassa. La nostra, l’abbiamo risolta: scelto il ristorante, si entra. Sono le 19, l’orario autoctono della cena (alle sette e mezza puoi trovare anche tutto pieno e non mangi più). Siamo 0-0, la connessione internet del mio cellulare sta tirando le ultime, come la serata di Sosa, e una volta entrati nel locale il black out è completo.
Niente panico. “Ragazzi, vado a lavarmi le mani”. E’ un astuto trucco, lo ripesco dai tempi del Liceo, mentre Mazzarri ripesca dalla panca Yebda. In realtà, avviandomi verso la toilet ho preso dal cappotto anche un antico e sempre utile strumento: la radiolina. Dove non arriva la tecnologia web, arriverà certamente il buon vecchio segnale FM, penso.
Ma una volta chiusami alle spalle la porta, l’orrore prende forma: la vecchia mamma Rai mi ha abbandonato, quassù è tutto un gracchiare di radio Bergamo Popolare, Radio Orobie Sailcavolo e altre strane forme eteree di vita nell’etere. Insomma, mentre Maz brancola nel buio sulla panchina del San Paolo, io brancolo nell’oblio in un bagno di un ristorante di Bergamo, e quando torno al tavolo ignaro di quel che accade in campo, mi riporta sulla terra un perentorio “Ordiniamo?”.
“Si… un difensore mancino e un quarto di Inler”, mi viene da rispondere, ma poi ripiego (almeno per il momento, sia chiaro) su un coniglio alla bergamasca con polenta e funghi. Il coniglio di solito lo preferisco all’ischitana, coi bucatini, ma devo dire che anche la versione locale è squisita. Nel frattempo, complice l’ottima compagnia, l’abbondante vino rosso e l’avvicinarsi dell’orario fatidico (“le otto, orami la partita è finita”) mi allontano dai problemi del campo, e di campo, e accetto la sconfitta. Niente linea al cellulare, niente radio vecchia maniera, i media mi lasciano nella nebbia e mi sento un po’ come gli azzurri: perso tra le nebbie di una serata di metà gennaio.
Vittorio Eboli

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