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Lo scudetto può dirottare dopo vent’anni

La squadra più bella del campionato è l’Udinese, ma la più nuova è il Napoli: elettrico, smodato, emotivo, divertente, più che altro secondo. Questa è una stagione anomala, e le anomalie ogni tanto fanno storia: il Verona, la Samp, la Lazio, per non dire del preistorico Cagliari. Altre ere geologiche, però chissà.  Nel giorno in cui l’Inter torna normale e diseguale, a -9 dal Milan, schiacciata da un avversario superiore in tutto e da un ritmo folle proprio il 2° posto del Napoli impone domande in prospettiva: può reggere, una squadra così?
Fino a dove? È da scudetto, o solo da altissima classifica? Il Napoli sembra un nodo difficile da sciogliere, non solo in campo. Segna tanto (32 gol in 21 partite), però c’è chi ha fatto meglio: Milan, Inter, Juve, Palermo e Udinese, un bel gruppetto. La difesa è eccellente (20 reti incassate), eppure ce ne sono di più blindate (Milan e Sampdoria, non troppe in verità). Senza il miglior attacco, senza la miglior difesa, ma con un ottimo rendimento medio e con la capacità di accendersi quando serve, il Napoli si spiega soprattutto con la bravura dei tre giocatori che hanno segnato, insieme, 26 gol su 32. E cioè Cavani (14, più di lui solo Di Natale, 15), Hamsik (7) e Lavezzi (5).
L’argentino Lavezzi è un ometto rimbalzante, un fantasista compatto e velenosissimo. I suoi incroci con l’uruguaiano Cavani, fuoriclasse con la faccia piena di spigoli e uno smodato repertorio, rendono talvolta il Napoli irresistibile. Se a quei due si accompagna il tipo che si pettina con i petardi, cioè lo slovacco Hamsik, il risultato è davvero esplosivo.

Tecnica, fantasia, velocità, l’irriverenza di chi non conosce il frusto galateo del campionato, ma anche anima: altrimenti il Napoli non avrebbe vinto tutte quelle partite nei minuti di recupero. In panchina c’è una specie di Mourinho nostrano, il veemente Mazzarri, folclore e sostanza, che ieri ha zittito Gargano mentre costui stava uscendo dal campo col muso lungo. Ben fatto. Per una manciata di ore, prima che il Milan battesse un po’ a fatica il Cesena su quel campo di patate di San Siro, spelacchiato e dipinto con lo spray verde, e prima che Cassano confermasse di nutrire per Ibra un’autentica ossessione, i napoletani sono rimasti a un punto dal primo posto: e quella posizione non sembrava blasfema.
Non si arriva quasi in testa a fine gennaio senza argomenti e contenuti, anche se le grandi imprese si realizzano di solito con un gruppo un po’ più attrezzato. Il vero limite del Napoli è, forse, la panchina corta, anche se ci sono momenti nella vita in cui le persone normali, non baciate da alcuna divinità al momento della nascita (gente come Pazienza e Aronica, Zuniga e Sosa, senza offesa), scoprono risorse che neppure immaginavano. Può succedere negli anni miracolosi, appunto.

Quelli che il calcio italiano non vive da un’eternità (lo scudetto della Sampdoria, 1990-91, è stato l’ultimo fuori dalle prevedibili geografie), ma non per questo non dovranno tornare mai più. Perché il Milan resta primo, ma il suo passo è aritmico. La Roma è strana, contraddittoria e piena di zavorre. La Juve è malandata, abbastanza modesta nei valori. E l’Inter può soffrire molto, come ha appena confermato l’Udinese (la cui vittoria è anche frutto di un’idea precisa di calcio, di un progetto condotto da anni con coerenza e intuizione), che l’ha quasi spogliata, lasciandola in mutande e infradito.
Maurizio Crosetti (La Repubblica)

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