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Ciao Dinho, campione
che torna in Brasile

Un minuto di silenzio. Nel tourbillon di emozioni che seguono la sconfitta di Milano e precedono la disfida con la Juve, chiedo una piccola pausa di riflessione per un fuoriclasse che lascia il nostro campionato. Fuoriclasse arrivato in Italia due anni fa, presentato in pompa magna ai propri tifosi, e che ora esce di scena in punta di piedi, ignorato dai più. Non parlo di Jesus Datolo, ma di Ronaldo de Assis Moreira, in arte Ronaldinho.
Manca ancora l’ufficialità, ma il brasiliano è destinato a tornare in patria, Flamengo o Gremio, il club che per primo lo lanciò. Si chiude così l’esperienza al Milan, durata poco più di due stagioni, dove la stella di Ronaldinho ha brillato solo a intermittenza. Anzi, il problema è che la stella del funambolico dentone sembra essersi proprio eclissata: il brasiliano è stato protagonista di una carriera brillante e ricca di titoli, ma purtroppo effimera.
Ammetto che non sono la persona più adatta ad aprire digressioni sul calcio estero. Quando ero ragazzino e i miei amici commentavano la Premier, la Liga e non si perdevano una partita di coppa dei Campioni, io ero molto più ferrato sulla serie C e le squadre campane delle serie inferiori. Ad Alan Shearer preferivo Sossio Aruta. Ma i numeri di un campione fanno il giro del mondo, e per di più ho avuto la fortuna di vivere a Barcellona nel ‘05/’06, anno di grazia per Ronaldinho, e di vedere da vicino il suo talento.
E’ stato per qualche anno (tra lo ’02 e, appunto, lo ’06) uno dei top player mondiali, forse il più forte in assoluto nel suo ruolo. Nello stesso breve lasso di tempo ha accumulato titoli su titoli: Pallone d’oro, campionati e Champion’s col Barça di Rijkaard, mondiale con i verde-oro. Un vero fuoriclasse, indiscutibile. Ero certo che sarebbe entrato nella Storia del calcio mondiale, quella dall’iniziale maiuscola popolata dai grandi nomi, e rimango del parere che sarebbe successo, se Ronaldinho non avesse cominciato la propria parabola discendente a partire dal disastroso mondiale del 2006, ad appena 26 anni.
Gli ho voluto bene, e ora che esce di scena so che mi mancherà. Nell’asso brasiliano convivevano una qualità e una fantasia uniche, insieme a una gioia di giocare al calcio senza paragone. Incassava mazzate da orbi senza perdere il sorriso. Conservava una umanità nello stare in campo che i campioni della generazione successiva (il “robotico” Messi e lo smargiasso Cristiano Ronaldo) non hanno. Poi il buio. Non so cosa l’abbia preso, se la saudade, la mancanza di professionalità o la troppa passione per la vita notturna e le belle donne. Ma del giocatore che era stato è rimasta solo l’ombra. E certo l’essere passato per il peggior Milan degli ultimi 25 anni, che lo ha ingaggiato ai saldi per dare una piccola soddisfazione ai tifosi in anni di stradominio interista, non lo ha esaltato.
Qualcuno mi potrebbe osservare che Ronaldinho, tornando al Gremio, non appende gli scarpini al chiodo. Potrebbe anzi ribattermi che nelle sue intenzioni c’è quella di conquistarsi la convocazione per i mondiali del 2014, e che quindi questa orazione funebre è prematura: ma siamo consapevoli che per lui il meglio è passato. Qualcun altro mi potrebbe obiettare che tante parole per un milanista su un blog sul Napoli sono eccessive: in questi due anni anche io l’ho guardato con antipatia (o meglio, con l’invidia dell’amante tradito), ma il punto  è un altro, qui si sta onorando un valore assoluto, la sua classe. Infine, i più acuti mi faranno notare che forse tutto questo è un procedimento mentale per distrarmi e distrarvi dalla scoppola rifilataci dall’Inter: su quest’ultima considerazione, non posso rispondere niente, è vero.

Fatto sta che salutiamo un grande campione.
di Roberto Procaccini

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