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Genova per noi, che siamo di Fuorigrotta

Settore 6, riservato agli ospiti, gradinata superiore. Genova per noi che siamo di Fuorigrotta, che abbiamo spesso il sole in piazza, il resto è il Napoli che lotta. Genova, dicevo, è un’idea come un’altra. Insomma, si va. Si torna in trasferta, si torna tra i napulegni. Non potevo mancare. Per mille motivi. Uno è sicuramente l’assenza del nostro numero 22. Ha ragione Claudio Botti (lavezziano doc), sono troppo democratico. E così in settimana mi sono dovuto sorbire articolesse e articolesse sull’assenza del Pocho, come se ci mancasse Zidane: come facciamo qua e come facciamo là, speriamo che scioperino, ricostruzioni fantasiose delle partite giocate lo scorso anno senza l’argentino. Mi astengo, ho perso la mia battaglia e rimango muto e sgomento. E vado a Marassi, dove incontrerò il napolista Trapani. E sarò sulle gradinate con l’insostituibile Roberto. Per testimoniare, come avrebbe detto il grande De Andrè.
Vado a Genova perché è da tanto che non vado nel settore ospiti in trasferta. E, soprattutto, torno a Genova dieci anni dopo. Non ci ho più messo piede da quei tre giorni di luglio del 2001. Quando, cronista del Corriere del Mezzogiorno, salutai la redazione il mercoledì sera e andai a prendere il treno speciale dei no global insieme al fotoreporter Gianni Fiorito. L’altro, Carlo Hermann, si era avviato il giorno prima. Quanto tempo è passato e quante cose ricordo. L’atmosfera di festa del giovedì, l’articolo scritto in una scuola che due giorni dopo sarebbe divenuta tristemente famosa, il rumore incessante delle pale degli elicotteri, quel venerdì fatto tutto di corsa con la macchinetta fotografica in mano, senza fiato, con gli occhi sempre lacrimanti talvolta salvati da bottigliette d’acqua gettate dalle finestre. Scontri, scontri, scontri, la sala stampa al Porto, le immagini di Carlo Giuliani, poi il sabato, e quando tutto sembrava finito e stavamo lì ad ubriacarci, quella telefonata: “Guarda che li stanno massacrando”. Prendemmo un taxi, e durante il tragitto la radio gracchiava solo richieste per la Scuola Diaz. Man mano che ci avvicinavamo, le sirene si  intensificavano. Il tassista si fermò e ci diede le ricevute in bianco. Non dimenticherò più quelle scene. Non dimenticherò più cos’era la Diaz dentro, gli sguardi allucinati, gli zaini, le pozze di sangue vivo, le strisciate rosse lungo le pareti. Poi non ricordo quando tornammo a casa. Mi ricordo solo che per settimane quasi cominciavo a tremare ogni qual volta sentivo le pale di un elicottero.
Sono passati dieci anni. Tante cose sono cambiate, anche per me. Domani me la voglio rivedere Genova. Voglio andare in via Tolemaide, passare sotto quel ponticello. Marassi è in alto, se non sbaglio, quel giorno era un carcere assaltato da tipi strani vestiti di nero con cui mi passai un po’ d’acqua. Domani uno stadio. Da espugnare.
Massimiliano Gallo

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