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Ciao Bearzot, vincitore
del vero Mondiale

Se n’è andato a ottantatré anni. Chiedi chi era Bearzot. Vallo a spiegare a chi oggi vive del calcio di Sky, di quei strani numeri che secondo i sapientoni sono utili a spiegare le partite, 4-4-2, 4-3-3, e menate del genere. Vallo a spiegare a chi ha vinto il Mondiale con quell’arrogante brizzolato in panchina. Lui, la testicolina, le citazioni del bandito Jesse James. Dopo il 2006, lessi un libriccino che celebrava la vittoria di Berlino. Il più onesto fu Carlo Verdelli, l’ex direttore della Gazza, che chiosò così: “In fondo, l’unica verità che nessuno osa rivelare è che il succeso dell’82 fu un’altra cosa”.
Io me lo ricordo come se fosse ieri. Avevo dodici anni ed ero un malato cronico di calci0. Si partì con le solite critiche: Pruzzo a casa (a lui fu preferito persino Franco Selvaggi) e soprattutto la mancata convocazione di Beccalossi. Una tifosa rifilò uno schiaffo a Bearzot all’aeroporto. Ma lui, il Vecio, tirò dritto. Si portò i suoi, i fidati. Quattro anni prima, in Argentina, l’Italia aveva giocato il calcio più bello del Mondiale, con quei due ragazzini terribili, Cabrini e Rossi, a farci impazzire. Poi le polemiche su Zoff che si fece segnare da Haan da oltre quaranta metri.
In mezzo, anni Ottanta, ci fu il calcio scommesse. Le auto della polizia (quanta sobrietà, eh?) sulla pista dell’Olimpico a Novantesimo minuto non me le scorderò più. Le facce di Rossi, Giordano e Manfredonia in tribunale, i baffi di Albertosi, la barba di Zecchini. Lui, il Vecio, non cambiò idea: aspettò la fine della squalifica di Pablito e se lo portò in Spagna. Bettega rimase a casa perché si ruppe una gamba in Coppa contro l’Anderlecht in un’uscita a valanga del portiere Munaron (se non ricordo male).
L’inizio fu un calvario. Pari con la Polonia, pari col Perù e quel pari col Camerun che fece la fortuna di Oliviero Beha. Se ne dissero di ogni, dalla partita combinata con gli africani alle maldicenze sull’omosessualità dei calciatori. Dal ritiro di Vigo fu presa una decisione rivoluzionaria per il nostro calcio: silenzio stampa. I giornalisti affilarono le armi, tanto nel gironcino a tre ci attendevano Argentina e Brasile. Senza speranza.
E chi se le scorda più quelle due partite. Battemmo Diego 2-1, con Gentile che lo massacrò e Rossi che continuava a sembrare il fantasma di se stesso. Non segnava neanche a pagarlo. Ma era sempre titolare. Inamovibile. E il Vecio lo mise in campo anche nella partita decisiva. A loro, i cantori del futbol bailado, bastava un pareggio, noi dovevamo solo vincere. Il resto è storia: Rossi ne fece tre. Poi due alla Polonia e quindi sbloccò la partita in finale con la Germania. Finì col Vecio che giocava a scopone in aereo col presidente Pertini, Zoff e Causio (cui regalò i minuti finali nella Finale). Non si è mai tolto i sassolini dalle scarpe. Festeggiò timidamente, non si prese alcuna rivincita, non disse: ora tutti bravi a salire sul carro dei vincitori. Altra educazione, altra tempra di uomo. E fa niente se nell’86 volle perdere con i suoi. Ciao, Vecio, nessuno ti dimenticherà.
Massimiliano Gallo

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