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Sognando sul Frecciarossa

Partire di domenica pomeriggio non è mai facile. Soprattutto dopo sei aperitivi ed un ragù della signora (con seguito di involtini di cotica aromatizzati all’aglio e prezzemolo a km zero). Soprattutto se sei quasi certo di perderti quella che, vaticinando, supponiamo sarà una partita divertente e spensierata. Almeno io così la pensavo.
Non così i miei compagni del Tropical (mica devo ricordarvi dove stà…). Loro stavano tutti compunti sull’uscio: il PMI di Casal di Principe preconizzava sventure, i braccianti egiziani in attesa di occupazione, (potatura dei peri prossima ventura), continuavano a citarmi Di Vaio e gli sconquassi salernitani, il gestore puteolano quasi mi rinfaccia una sospetta simpatia per i bononiani, la moglie del PMI a raccomandarmi di stare attento, che a Roma ultimamente  succedono cose strane e a salutarmi affettuosa, col rimmel un po’ sfatto.
Insomma, per non sapere né leggere né scrivere, il compaesano della Loren ha abbassato le saracinesche ed ha deciso che era il caso di accompagnarmi in stazione a Modena, che tanto col tempo da tregenda che ci sta accompagnando ultimamente, di avventori non se ne sarebbero visti…
Così la compagnia si è trasferita in stazione, e sembrava dovessi emigrare chissà dove. Il puteolano è riuscito a farsi fare tre caffè in una bottiglietta di succo di frutta da portarmi, la consorte PMI si è commossa e il Freccia Rossa è partito, non senza un lieve imbarazzo, con pochi viaggiatori smarriti persi nel commento alla testata interista, al pareggio laziale.
Ed io che potevo pensare? Nell’anno in cui meno mi piace il tutto, nell’anno della squadra che non avrei voluto, delle cessioni che non avrei controfirmato, del presidente che non mi sono meritato, dell’allenatore che avrei giubilato (non fosse altro che per le sigarette che fuma e la camicia che indossa), mi trovo a fantasticare non su un posto in Champions bensì di scudetto. Nell’anno in cui il cineasta annuncia la scomparsa dell’oggetto (che a nominarlo risulta desueto e fascinoso), comincio a sognare il primato. Perché me lo sento. Che non è una bella risposta per un razionalista pragmatico come il sottoscritto e allora mi sono appoggiato agli algoritmi del Magnifico Rettore, all’ipotesi incomparabile, al fattore M (M come Mazzarri e, per metonimia, come mazzo).
Mentre fantasticavo stu’ penzier’, si annuncia l’arrivo a Roma Termini, mi affanno ai taxi ma, sotto un diluvio universale (non è questione politica, ma da quando c’è Alemanno in questa città piove sempre), c’è una fila di cento persone lato via Marsala. Così a occhio, mi perdo il primo tempo. Dunque cambio di rotta. Road House con obbligo di posto sotto il video. Arrivo appena in tempo per Maggio ed una tagliata sfrigolante (con patata al cartoccio), poi Hamsik e salto sulla sedia suscitando l’ilarità della piccola comitiva catalana che mi sta di fianco. Primo tempo e conto. Taxi liberi, cinque minuti per via Alessandria e secondo tempo di sussulti personali ed onanistici. Una Ceres da frigo-bar ed arriva anche Cavani.
Con Cavani la telefonata dei miei correligionari di via Gorghetto. Scudetto? Qualcuno ha detto scudetto? Sento gli egiziani che fanno la ola, ebbri di Lambrusco di Sorbara, orfani di Yebda. A Roma tuona e fulmina, nella bassa pure, al San Paolo pure. Un lavacro purificatore. Mi riservo una severa disamina del tecnico. Filosoficamente parlando siamo su rive opposte: questo Mr. Magoo di San Vincenzo mi piace zero, ma tant’è, se serve a soffire ben venga, che noi di sofferenze ne reclamiamo a schiovere, sennò si tifava, chessò, Chievoverona, no?
Paolo Birolini

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