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Voglio dormire sulla panchina di Testaccio

La verità è che io stasera vorrei dormire sulle panchine di piazza Santa Maria Liberatrice, di fronte alla chiesa di Testaccio. Vorrei adagiarmi lì, avvolto dalla bandiera del Napoli. Aspettando di essere picchiato mentre una smorfia sorridente rivela ai romanisti che non potranno farmi male perché in realtà il mio corpo e la mia anima sono altrove, su quella fascia sinistra sotto la Tribuna Nisida dove ho visto cose che nemmeno al largo dei bastioni di Orione.
Lì, su quella piazza, affaccia Fabrizio. Ironia della sorte, stasera né io né lui saremo a Testaccio. Avremmo passeggiato fino all’alba, lo so. Ce lo saremmo percorso tutto, Testaccio: il lungotevere, via Galvani, via Ginori, via Mastro Giorgio, via Branca, via Luca Della Robbia, le due piazze, anzi le tre, persino via Marmorata che in fondo non ho mai amato.§
E dire che noi di Testaccio non possiamo fare a meno. Non potremmo vivere in nessun altro luogo di Roma. In fondo è il quartiere che più rassomiglia a Napoli, un borgo dove soprattutto al mattino, al mercato, sembra un tuffo nel passato, uno di quei film in bianco e nero d’epoca neorealista. Ma esserci dopo il 2-0 è una goduria che non ha prezzo.
Che dire della partita? Poche righe. Nel calcio è facile elogiare quando si vince. Ma è innegabile che Mazzarri sia stato bravo. Potevamo giocare solo d’attesa e lo abbiamo fatto. Accorti, molto. Non è un caso che per la prima volta in campionato abbiamo concluso un match senza subire gol. E abbiamo giocato con un Gargano sotto tono, segno che le partite di Coppa si sentono nelle gambe, eccome. Nel secondo tempo siamo stati devastanti. Il Pocho è stato immenso. Quell’azione davanti a noi è stata d’infarto. Stop al volo, finta e partenza sulla fascia fin sul fondo e passaggio appena appena debole per Cavani nell’area piccola. Pazzesco. Quando Marek l’ha messa dentro non credevo ai miei occhi, non volevo illudermi, ma la commozione quella non la potevo fermare. Guardavo Roberto e lo toccavo. Poi quando ho rivisto la palla in fondo al sacco, sospinta non avevo capito bene da chi, non mi sono trattenuto più. Il delirio. Ma non era finita. Solo questo ho saputo dire al vate Fabbrini che mi è venuto ad abbracciare, gesto che solo i poeti sanno compiere.
Abbiamo vinto, abbiamo battuto la Roma. Ancora non ci credo. E in settimana si va da Agustarello, laziale capolista, a bere e mangiare fino all’alba. La festa degli emigranti durerà un bel po’…
p.s. All’uscita, fuori al San Paolo, vendevano varie fotografie a un euro: a’ Roma int’o cesso, Quagliarella int’oc esso, ‘o ciuccio che se chiava a’ lupa. Come potete immaginare, non ho avuto dubbi: e la foto martedì sarà in bella vista sulla scrivania del Riformista…
Massimiliano Gallo

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