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Napul’è Walter Mazzarri
“Come il Napoli di Vinicio”

Walter Mazzarri, 49 anni, allenatore del Napoli che fa sogni in grande, toscano di San Vincenzo, è vero che negli anni 70-80 doveva essere l’erede di Antognoni?
«Così dicevano, avevo talento e portavo il 10: mi accostavano ad Antognoni senza che lo volessi e la cosa mi ha anche condizionato. Già allora vedevo la vita diversamente, molto concreta: mio padre aveva un panificio, consegnavo il pane. Oggi dicono sia un aziendalista, un manager: non è sbagliato».
Livorno, Reggio Calabria, Genova e Napoli: tutte città di mare.
«Un caso. Anche se i Mazzarri vengono dall’Elba e ho abitato in parecchie case vicino al mare. E’ l’unica cosa che chiedo, per il resto tutto casa e bottega. Vinco, perdo, pareggio, la mia vita è quella».
Quando dice manager, dice allenatore all’inglese?
«Sì, l’allenatore lavora per l’azienda e ragiona come se fosse sua. E’ un mondo esasperato questo, dove tanti puntano sull’immagine, come mi vedete però io sono. Senta, tanto siamo tra noi: posso fumare?».
Prego.
«Ah, il fumo… Fui il primo allenatore multato per fumo in campo. Con la Reggina vincevamo 1-0, mi siedo, accendo la sigaretta, poi come un fesso salto fuori con la sigaretta in mano. Tombolino mi fulminò».
Mazzarri temperamentoso.
«Vero, ma se dicono pazzo mi arrabbio. Ho temperamento ma non solo quello. Programmo, curo i dettagli, se non sistemo l’1% non ci dormo. Alla partita devo arrivare dopo aver fatto tutto il possibile. Il calcio non è una scienza esatta, ma proprio perché ci sono imponderabilità e fattore umano, la preparazione ti fa sopravvivere».
Comunque è un carattere che piace ai napoletani, no?
«Certo, ma se dietro il temperamento non c’è la sostanza i giocatori se ne accorgono e il boomerang ti torna addosso. Ai giocatori dico: sono al vostro servizio, chiamatemi 24 ore su 24, se risolviamo i problemi, i primi a beneficiarne siete voi. Mai andato in fibrillazione per la formazione, l’ho sempre chiara. E anche quando mi agito sono concentrato e razionale, l’opposto dell’istintivo. Forse vivo male le sconfitte, è vero, non ci dormo. Ma prima di perderle le tento tutte. E poi ho un rapporto sereno e diretto con i giocatori. (Bussa alla porta Lucarelli, ndr). Chieda, chieda».
Le credo. Eravamo al rapporto con i cavalli pazzi: Cassano, Lavezzi, Lucarelli…
«Più i giocatori hanno temperamento e meglio sto. Credo nel faccia a faccia. Cassano mi ricorda sempre volentieri e ha detto che non mi so vendere bene… Forse ha ragione, ma non sono uno da pubbliche relazioni. Arrivai a Livorno che Lucarelli aveva tirato un vassoio a un allenatore, mai avuto problemi. Non è vero che nello spogliatoio ci si dice tutto, è nel faccia a faccia che succede».
De Laurentiis parla di grandi risultati in 5-6 anni.
«Per superare le differenze di budget ci vuole programmazione e organizzazione. Dico non tutto e subito».
A Coverciano è stata pubblicata la sua tesi.
«Quella dei tecnici è una squadra: a ognuno il suo ruolo, senza sconfinamenti. Ho fatto la gavetta dall’osservatore al secondo di Ulivieri. Alle 9 del mattino ho già chiamato i collaboratori, il team manager Santoro e ho il quadro: so se i Nazionali sono rientrati, come stanno, se sono mancati parecchio li metto sulla bilancia, si prepara subito l’allenamento. Che è sacro: è il momento in cui il calciatore mette a punto la sua macchina. Lo dico sempre “rispetto delle regole”. Qui quando il magazziniere consegna la tuta sa cosa dire. Dunque allenatore autorevole ma non autoritario e regole uguali per tutti, soprattutto per chi è più in vista. Sono un martello? Sì e a 360 gradi. Rapporti chiari e corretti: decido io, non il giocatore più importante. Se succede, addio. E ai giocatori dico: non guardate la testa del
compagno cui date la palla, non fatevi influenzare dal nome, guardate la maglia: questo per me è il concetto di squadra».
La sua specialità? De Laurentiis disse: “Mazzarri lo specialista del 3-5-2”.
«Direi la preparazione. E un giocatore vede subito se sei preparato o no. Il 3-5-2? I moduli li uso tutti ma se l’80% è predisposto a un gioco devi continuare così. La mia firma però è il 3-4-3. Il modulo non è tutto, sono fondamentali i movimenti e l’automatismo. Noi arriviamo a un possesso palla di 70 minuti e attacchiamo almeno in 5: Lavezzi, Hamsik, Cavani, Maggio e Dossena, più i centrocampisti e magari Campagnaro. L’allenatore in prima è un artista, un creativo. I giocatori preferiscono essere sorpresi. All’intervallo di Napoli-Milan nel 2009 sul 2-0 per loro i giocatori pensavano, ora ci sfonda: dissi solo, degli errori ne parleremo, ora cambiamo così, si ricomincia da 0-0, facciamogliene tre. Due andarono benissimo. Il pubblico tutto questo lo capisce e mi piace lo striscione “Al di là del risultato”. Ho sentito fare paragoni col gioco di Vinicio».
Attacco di talento: Hamsik, Lavezzi, Cavani.
«I gol parlano per Cavani ma non solo: con la Roma ha rincorso Pizarro fino all’area. Il calcio di oggi è un attacco senza punti di riferimento. Cito Cassano e Bellocci nella mia Samp e la miglior Roma di Spalletti con Totti. Nessun attaccante per l’Italia? Beh, offriamo Maggio, Dossena, Cannavaro e altri. A proposito di Nazionale, sono orgoglioso di Chiellini. Quando ero a Livorno lo vedevano un po’ cavallone e volevano venderlo allo Spezia. Li feci aspettare».
Ricordando le polemiche, le manca Mourinho?
«Per come io penso debba essere un allenatore, no, non mi manca».
E la storia del turnover in Europa League, il 3-3 con la Steaua?
«E’ la coperta troppo corta: una squadra come il Napoli non può non farlo. Ora ho Catania, Liverpool e Milan: voi che fareste? Hamsik, Lavezzi e Cavani alla sesta consecutiva calano. Tanti anni fa quando con l’Empoli andavamo a San Siro si perdeva sempre, oggi non è così matematico se Inter o Milan non hanno curato tutti i dettagli contro una squadra che invece lo ha fatto».
Dove arriverà il Napoli?
«Avanti finale dopo finale e poi faremo i conti».
Un’altra cosa che dice sempre ai giocatori?
«Non voglio che i giocatori esultino in maniera eccessiva dopo i gol, lo si fa tutti insieme alla fine e per tener alta la tensione dal campo urlo “Dai, dai fino al 95°”. Nei nuovi spogliatoi del Napoli hanno messo una foto dove io indico l’ora…».
Fabrizio Bocca (La Repubblica)

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