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Il Napoli di Vinicio e la maledizione Juve

Adelante Pedro, con judicio, questo è il Napoli di Vinicio (così “Sport Sud” titolava in quegli anni). Vinicio sbarca a Napoli nell’estate del ’73; le sue gesta da calciatore sono ancora vive nella memoria dei tifosi; tanti gol, anche insieme a Jeppson, con il quale aveva formato la famosa “V due” (dal nome della bomba a razzo usata dai tedeschi nella seconda guerra mondiale); ha fatto bene come allenatore già a Terni e a Brindisi e pratica il calcio totale, ispirandosi, forse primo in Italia, al modello olandese; arrivano Sergio Clerici (el gringo), tocco morbido ma tiro secco e preciso, Braglia, capelli lunghi e gran galoppatore, capace di gol rocamboleschi ma anche di errori marchiani (Clerici – Braglia, Napoli mitraglia, altro titolo di “Sport Sud”); il portiere è Carmignani che l’anno prima ha sostituito Zoff; terzini sono Bruscolotti (prelevato la stagione precedente dal Sorrento) e Pogliana; arriva anche Orlandini, giocatore essenziale che a centrocampo va ad integrarsi con Totonno Juliano e Salvatore Esposito; c’è ancora Canè che il gol non lo ha dimenticato; ne farà uno in particolare a Milano, con l’Inter, in una partita prima persa, poi vinta e infine pareggiata.
La prima stagione parte subito bene, il Napoli batte la Juve al San Paolo e, dopo il pareggio a Milano, centra tanti buoni risultati; il gioco è arioso, la squadra gioca sempre per vincere, non è mai doma, è capace anche di grandi rimonte o di far risultato negli ultimi minuti della gara; vince poco fuori casa, ma lo fa ad esempio a Roma con un gol di Braglia; alla fine sarà un meritato terzo posto e la sensazione che si sia aperto un ciclo che può portale lontano.
L’anno dopo arriva Burgnich (Burcìn), che ha appena terminato la sua esperienza in Nazionale nello sfortunato mondiale di Germania (chi non ricorda Juliano in panchina che fuma mentre, smessa la tuta, assiste agli ultimi minuti di Polonia-Italia che sancisce la nostra eliminazione); arrivano anche La Palma, terzino di fascia, grandi polmoni, in alcuni momenti davvero entusiasmante per le sue sgroppate; arriva Rampanti ma soprattutto Peppe Massa, del cui duetto con Mazzone in una partita a Firenze bisognerebbe scrivere un libro. Massa ha un tiro cross preciso, pieno, un po’ come quello di Dossena (sia pure dalla fascia opposta). È un Napoli spesso arrembante, veemente, in alcune partite davvero simile al Napoli di oggi quando stringe l’avversario nella sua area (penso alla gara di Marassi con la Samp); ma a differenza del Napoli di Mazzarri ha un regista classico, Juliano, intorno al quale si muove tutta la squadra, e uomini comunque di qualità a centrocampo (Esposito e Orlandini). Sembra dunque arrivato il momento, anche se nessuno per scaramanzia vuole pronunciare quella parola.
Sarà difatti una grande stagione, segnata però dalle due sconfitte con la Juve.
La prima al San Paolo, cocente ed  umiliante per il risultato (2 – 6); il Napoli viene dalla trasferta di Ostrawa di coppa Uefa col Banik, è stanco, manca il turnover (anche qui le analogie si sprecano); affronta comunque la Juve a viso aperto, forse troppo e i bianconeri lo puniscono con tre gol già nel primo tempo (due di Damiani e uno di Altafini, entrambi fischiatissimi al loro ingresso in campo); non si perde d’animo, rientra dagli spogliatoi, davanti ad uno stadio gremito sino all’inverosimile, per riguadagnare il risultato; prende subito un altro gol (Bettega), segna con Clerici, subisce ancora (Causio), segna di nuovo con Clerici, cui immediatamente dopo Agnolin nega un rigore sacrosanto che avrebbe forse cambiato la partita, chiusa dal sesto gol bianconero di Viola. Il pubblico applaude (anche se i soliti incresciosi episodi del dopo partita porteranno alla squalifica di due turni) consapevole che il Napoli ha dato tutto e che nonostante il risultato non ha affatto sfigurato; più che i valori tecnici ha prevalso l’abitudine dei bianconeri alle partite di cartello, la mente fredda, il cinismo nell’attaccare una difesa troppo molle, dove il fuorigioco sistematico (che pure l’anno prima, praticato con una costanza all’epoca sconosciuta, aveva sortito risultati assai positivi) quel giorno non funziona.
Ma il Napoli ha grande tempra, non si scoraggia, riprende il suo cammino, confeziona tanti risultati positivi, vince il giorno di Pasqua, in casa, col Milan (2-0) e a sei giornate dalla fine si presenta a Torino sotto di soli due punti e pronto ad agguantare la Juve. Torino è invasa dai sostenitori partenopei; la stazione di Porta Nuova è inondata di bandiere azzurre che dai finestrini dei due, lunghissimi treni speciali garriscono al vento; è una scena da lacrime agli occhi; il comunale è preso d’assalto, sono quasi venticinquemila i napoletani pronti a sostenere la squadra, aiutati anche da molti, interessati torinisti. Questa volta il Napoli soffre l’emozione del grande incontro solo per i primi quindici minuti, il tempo di incassare il gol di Causio con un tiro dal vertice destro dell’area di Gedeone Carmignani; comincia a mulinare gioco e all’inizio del secondo tempo pareggia con Juliano; continua ad attaccare ed un tiro del capitano diretto nel sette sembra entrare in rete mentre i tifosi, che con una tensione altissima assistono all’incontro, trattengono il fiato, pronti ad esplodere; ma Zoff (gran signore, a lui si può perdonare) ci arriva con la punta delle dita.
Qui, poi, si compie la beffa; al 75° entra Altafini e a due minuti dalla fine, su di un batti e ribatti in area, insacca (un tap-in si direbbe oggi). La delusione è grande; il Napoli avrebbe meritato almeno il pareggio e comunque più della Juve aveva cercato la vittoria; la rabbia anche; fioriscono le polemiche, anche per il “finalmente” che Ameri alla radio, interrompendo un collega, usa per annunciare il gol bianconero; fioriscono pure i dibattiti su Altafini, da allora e per sempre “core ‘ngrato”, e soprattutto le accuse di tradimento verso chi, fino a due anni addietro, era stato l’idolo della tifoseria, perdonato per ogni scappatella e per gli alti e bassi di un campione come pochi.
Discussioni e accuse che avrebbero potuto cessate di fronte alla lapidaria battuta di una ormai non più giovane interprete del teatro di strada napoletano che, intervistata alla tv accanto al suo banchetto e sullo sfondo delle immancabili lenzuola stese al sole, all’ennesima domanda su Josè e il famoso gol, rispose “c’à fatt’ Altafini, à fatt’ ‘nu gol ‘e strunz’ “.
E in effetti era stato ‘nu gol ‘e strunz’ a condannarci (e per vincere a Torino dovremo aspettare Ferrario, Giordano e Volpecina), solo che le polemiche e le recriminazioni non cessarono perchè la domenica successiva, mentre il Napoli subissava la Ternana (7-1), la Juve veniva salvata ancora una volta, a Cagliari, proprio da Altafini con una rete che ne evitò, di nuovo negli ultimissimi minuti della gara, una sconfitta che avrebbe potuto riaprire la corsa al titolo; a quel gol, annunciato in diretta dal solito Ameri, molte radioline chiusero la loro vita terrena contro i gradoni del San Paolo.
I quatto punti persi con la Juve (il Napoli terminò secondo, a solo due lunghezze dai bianconeri), i gol e le parate degli ex (Damiani, Altafini, Zoff) ci costarono dunque lo scudetto, il primo davvero sfiorato (e meritato) come nessun altro prima.
Mimmo Taglialatela

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