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Non sono nostalgico
però omaggio Reja

E intanto zio Edy è in testa al campionato. Non è un dettaglio che possiamo trascurare, se valutiamo il progetto De Laurentiis dalla sua fase embrionale allo stato attuale. Fu giusto mandare via l’allenatore che ci aveva portato dalla serie C all’Europa – ben due anni fa! – a dimostrazione di come ci fosse poco da festeggiare quest’anno?
Non cadrò nella trappola del nostalgismo, della retorica e dell’io l’avevo detto che era un grande. Rispondo che sì, fu giusto concludere quel ciclo, ma fu vergognoso e assurdo farlo in quel modo, senza lasciargli finire un campionato che il Napoli avrebbe tranquillamente portato in porto, visto che si salvò senza eccessive difficoltà perfino con Donadoni. Oggi c’è Mazzarri, che merita stima e sostegno (a eccezione della partita di ieri, ma evito, perché se parlo rischio il linciaggio, abbiamo vinto…)  che ha fatto benissimo lo scorso anno, che è forse l’unico uomo in grado di resistere alle oscillazioni emotive di una piazza che si deprime ed esalta con troppa facilità. Su zio Edy, però, qualcosa la voglio dire. Non è un genio, chiariamolo. Ma è pur vero che il calcio, come disse l’Innominabile bomber stabiese, è un gioco semplice, non ci vuole per forza Einstein (o il professor Trombetti) per risolvere delle parole crociate crittografate.
In primis, voglio confutare l’etichetta di un allenatore esperto che gestisce bene il gruppo ma non sa mettere la squadra in campo, cambiarla in corsa e soprattutto darle un gioco. La sua Lazio, che a mio avviso ha un tasso tecnico superiore al Napoli, oggi è una squadra che cambia tanto, tatticamente e con i suoi uomini, si adatta all’avversario, esprime una buona qualità. Reja, in più, sa valorizzare i singoli, addomesticando perfino i talenti selvaggi di Zarate ed Hernanes. Il tecnico goriziano (confesso il conflitto di ematocrito, abbiamo sangue simile nelle vene) ha una sua idea di gioco, a dispetto di quello che si è sempre detto a Napoli, quando la presenza del Pampa, catalizzatore di palle alte e spesso decisivo nel gioco di sponda, induceva in tanti pensare che quello fosse un gruppo allenato, più che gestito. Non era così. Perché io ho visto il Napoli di Reja giocare spesso bene, con giocatori modesti, fin dai tempi della serie C. Perché è vero, c’è differenza tra il gioco spettacolare alla Zeman e il bel gioco: come quello di Reja, che esalta il potenziale, fissa posizioni, detta scambi, geometrie anche scontate ma efficaci. Reja è il ragioniere, ma un ragioniere a cui i conti tornano spesso e che sa fare scelte impopolari (come accade a Roma con Rocchi, Zarate e  perfino Ledesma, ieri tenuto in panchina) per affermare un’idea di calcio che non è vecchia, obsoleta, ma semplicemente pragmatica. Ma la praxis talvolta è anche estetica. Perché vincere è godere e il godimento è il Bello.
Basti pensare che il Napoli di oggi ha nel suo Dna il codice genetico di Reja, quel 3-5-2 riproposto in maniera quasi automatica anche da Donadoni e Mazzarri e del quale sembriamo ormai ostaggio, al punto da rappresentare oggi il vero limite di questa squadra. Per questo io oggi sono felice per lo zio goriziano. E che Iddio mi perdoni se alla Lazio non riuscisse a mangiare il panettone, magari lasciando la panchina a Donadoni.
Luca Maurelli

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