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Non faccio pagelle da quando un pallone ricomparve a Paestum

Vorrei ringraziare tutti i napolisti che hanno amabilmente commentato i miei scritti e, in particolare, devo una risposta a FERNANDO AUTORE: non ho mai dato 5,5 in pagella a Dossena perché non faccio più pagelle dai tempi in cui un pallone ricomparve a Paestum. Mi limito a raccontare sul "Roma" le partite del Napoli, non dimenticando la scuola di Tonino Scotti: obiettivi e, se è il caso, severi col Napoli, ma sempre con quel "sottofondo" di affetto per le maglie azzurre, com’è nell’anima di ogni tifoso, anche il più arrabbiato, e senza antipatie per nessuno. I presidenti, gli allenatori, i giocatori passano, ma il Napoli resta: così mi diceva Tonino .
In ogni caso, scrivere dopo come sarebbero dovute andare le cose è inutile: la partita è andata. Credo che la critica debba tenere conto della controprova che non ci sarà mai, senza la presunzione di fare gli allenatori comodamente seduti davanti al computer, al riparo della tensione in diretta a bordocampo. Ma, per carità, non voglio dare lezioni. Il calcio mi ha regalato tante emozioni e, soprattutto, la simpatia e l’affetto di giocatori con i quali ho condiviso tante giornate.
Tempo fa, mi son sentito al telefono con Panzanato e Girardo, incontro Zurlini, mi sento con Bruno Giordano e Carnevale, mi vedo con Juliano, Montefusco, Vinicio, Canè, Abbondanza. Dalle loro parole capisco che il mio lavoro di cronista è andato nella direzione giusta. Con Altafini ci facciamo un sacco di risate. Sto vivendo con apprensione le disavventure del petisso, che ho "inseguito" da un ospedale all’altro, ma fortunatamente pare tutto risolto proprio in questi giorni. Mi sento qualche volta con Rino Marchesi, con Ottavio Bianchi. Mi sono sentito con Peppone Chiappella prima che il suo vocione si spegnesse. Forse "quel" calcio ha segnato l’ultima epoca romantica del pallone e, per dirla banalmente, eravamo "una famiglia", noi giornalisti e i giocatori e i tecnici, ed era anche una "famiglia" ristretta, pochi taccuini e giocatori che restavano per tanti anni consolidando i rapporti.
Oggi i tempi sono difficili e così i rapporti umani: troppo danaro, troppi microfoni, troppe telecamere, troppa velocità. Credo che non si creano più quelle simpatie, quelle intese e anche quegli affetti di cui noi, al nostro tempo più lento e ingenuo, abbiamo goduto fra giornalisti e giocatori. Peccato. I bei ricordi sono l’ultimo premio di una vita vissuta insieme negli allenamenti e alla domenica. Il vecchio cronista vi avrà rotto le scatole, vogliategli bene ugualmente.
<strong>Mimmo Carratelli</strong>

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