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La mia odissea con la tessera

Davvero un fantastico mondo, quello della tessera del tifoso: chiunque abbia superato lo scoglio avrà senza dubbio la sua personalissima storia da raccontare. La mia odissea è iniziata nel mese di luglio, con la sospensione delle tessere presso gli uffici postali, poi le vacanze, tutti che si tesseravano mentre io ero al mare (compreso mio marito) e infine, ieri, il rientro. Moduli già belli che compilati, foto prontissime all’appello, documenti in borsa, mi avvio all’ufficio postale di Piazza degli Artisti, al Vomero. Ore 17.10, varco l’ingresso insieme a mio marito e mi metto in fila allo sportello che sembra a questo deputato. Per non perdere il posto, resto incolonnata mentre lui va ad accertarsi che sia quello lo sportello giusto. L’addetta allo sportello si trasforma all’improvviso in un mostro: come se fosse stata punta da una tarantola ci intima di abbandonare la fila – e anche l’ufficio – poiché interromperà le pratiche alle 17.30 (“non oltre quelle due signorine in fila” urla, indicando le due ragazze che mi precedono), nonostante l’orario di chiusura dell’ufficio sia alle 18,30. Le chiediamo di mostrarci l’avviso che dovrebbe rendere noto al pubblico tale decisione, ma lei continua ad urlare di andare via, anzi, ci suggerisce, qualora la cosa non ci piaccia, di chiamare i Carabinieri. Ed infatti è esattamente quello che faccio. Intanto, prima di me ci sono in totale sette persone (cinque uomini e due donne) che ironizzano sulla mia telefonata al 113 e, nello stesso ufficio, un quasi sessantenne che dice “ma perché ve la prendete tanto? Non sapete che a Napoli funziona così?”. Cerchiamo di spiegare al tipo, che probabilmente avrà pure fatto il Sessantotto, ai suoi tempi, che se la pensa così allora può anche organizzare un sit-in con pizza e mandolino, che quella è la città che fa per lui, ma che non vale lo stesso per noi, che conosciamo i banali diritti di un cittadino e che, dunque, siamo fermamente convinti che ne venga violato almeno uno quando si viene cacciati da un ufficio postale senza motivazione logica, essendo nel nostro diritto (questo sì) restare lì fino a quando l’operatrice non stabilisca che, oltre un certo numero, non si può andare. Al 113 mi risponde qualcuno che mi suggerisce di andare al Commissariato più vicino a sporgere denuncia. Gli rispondo che non ho alcuna intenzione di abbandonare la fila, mentre avverto non troppo placidamente le ragazze davanti a me – che l’operatrice aveva indicato come le ultime pratiche che avrebbe evaso entro le 17.30 – che le 17.30 sono passate da un pezzo e che quindi, qua, se non mi tessero io, non si tessera più nessuno. Torno a dare retta al 113, che intanto reagisce con un “eloquente” silenzio, chiedendo se intendono mandare qualcuno o se devo fare esposto anche contro di loro. Il tipo mi chiede nome, cognome e numero di telefono e mi rassicura sul fatto che provvederà subito all’invio di una volante. Ed infatti la volante arriva dopo altri 10 minuti. Sono le 17.50: i Carabinieri parlano con gli operatori dietro lo sportello, poi parlano con noi. Danno ragione a noi, perché in nessun posto del mondo, tranne che nella nostra città, può capitare di essere cacciati da un ufficio pubblico (ancorché privatizzato) perché l’operatrice ha i “cacchi” che le abballano, come si suol dire. Si trova un compromesso: la responsabile dell’ufficio prende i nominativi delle sette persone, tra cui io, rimaste in fila ed assicura che se l’indomani ci troveremo davanti a lei alle 8 in punto procederà a darci la precedenza sugli altri. Bene, stamattina alle 8 io ero lì, prima della fila. L’operatore allo sportello, che ieri era presente, si ricordava perfettamente di me e mi ha dato ragione su tutta la linea (compresa l’assurdità del funzionamento operativo di tutta la faccenda), ma, cosa molto più importante, mi ha fatta tesserare. Dopo di me sono arrivate le due ragazze che, ieri, mi precedevano. Gli altri quattro (uomini) non si sono visti.
Da tutta questa vicenda, che a molti sembrerà noiosa, oltre che banalissima, sono due gli elementi che vale la pena trarre, anzi, tre. Il primo è che De Laurentiis ci ha veramente “logorato” le scatole e lesionato molto altro. Ci ha intossicato un’estate, promettendo una stratosferica campagna acquisti che adesso ci fa a dir poco sorridere (Cribari???) e complicandoci una già complicatissima esistenza con questa assurdità della tessera del tifoso (e Maroni non è da meno). Il secondo è che la nostra città fa schifo e fa schifo perché c’è chi, come ieri alle Poste, consente di calpestare anche il più elementare diritto (quello di essere presente fisicamente in un ufficio pubblico) nell’ottica del “a Napoli è normale”. Ciò implica che Napoli merita la classe dirigente che ha e lo schifo in cui vive perché i napoletani (la maggior parte, almeno) amano vivere così e farsi fottere allegramente al suono di ‘O sole mio. Perciò, dimenticate ciò che scrissi tempo fa a proposito della napoletanità e tutte quelle cazzate lì: scappate da qui se ancora potete. Terzo: ci vuole una grande, grandissima passione per sottoscrivere la tessera (una ridondante quanto inutile procedura di schedatura), per abbonarsi (viste le ultime scelte societarie) e per andare allo stadio (non mi sembra che la squadra sia poi cresciuta granché, né che sia pronta al famoso salto di qualità). La cosa singolare, l’unica che mi ha fatta sorridere in tutta questa storia, è che le sole tre persone che, stamattina, hanno sfidato l’orario, gli impegni e la rabbia siano state tre donne. Trovo singolare che una passione storicamente maschile si mostri invece così forte in ambito femminile. È sempre bello pensare alla capacità delle donne di entusiasmarsi. Permettetemelo, questo accenno sessista.. siamo belle, proprio belle. Nient’altro da dichiarare.

Ilaria Puglia

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