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Posillipo, competenza e friarielli

Polemiche, polemiche, quante polemiche. Cambi inspiegabili – quando ce ne sono – campagna acquisti disdicevole – soprattutto se paragonata a quella del Milan – modulo fisso ai tempi dell’arca di Noè – neppure più Reja – insegniamo a Lavezzi a tirare in porta – ed a passare quando non è il caso di tirare. Ma dietro le partite e gli affanni della squadra e le parole sbagliate usate da Bigon per esprimere un concetto che certo non si discosta dalla realtà, ci sono problemi seri, veri, tangibili, come il posto occupato allo stadio quando si va a vedere la partita. Ecco: il mio problema. Quando ho comunicato al clan dei napolisti che per quest’anno il mio abbonamento prevedeva una stagione intera in Tribuna Posillipo mi sono sentita dire di tutto: “ma quella è la tribuna Vip!”, “presto ti convertirai alla legge del lamento, quella che vige nella tribuna posillipina: ti aspetto a metà campionato..”, “ecco, a’ femmina ra’ tribuna Posillipo”. Ed io, che per definizione sono “natacontro”, ho giurato di farne la mia bandiera: cambierò il volto della Posillipo, dovesse essere l’ultima cosa che faccio. Così, quando sono arrivata allo stadio, domenica sera, ero carica di aspettative già deluse e di responsabilità a curvarmi le spalle. Armata, però: di buone intenzioni e di uno splendido panino sasicce e friarielli (con peperoncino, ovvio).
Il passaggio al varco si è rivelato come da attesa: controllo super incrociato di abbonamento, documento e corrispondenza del mio viso alla foto della carta di identità, manco fossi una criminale. Mentre mi chiedevo perché analogo trattamento non venisse riservato al marito, uomo e vestito molto più rozzamente di me. Tra l’altro, cosa altrettanto singolare, nei Distinti non mi hanno mai controllato né il documento né, soprattutto, lo zaino…
Insomma, mi faccio largo tra la folla del settore B fino a raggiungere la fila n. 16, posto 31, a me riservato. Sono lontana dalla Nisida, occupata dagli amici napolisti, ma precisamente sotto la Tribuna Stampa. Mi siedo e aspetto di vedere chi avrò alla mia sinistra (la destra è tutta conosciuta). Ecco la prima sorpresa: un bel gruppetto di tifosi sulla quarantina pacati quanto basta ma per nulla avari di piccantissimi commenti sulle scarpette gialle di Zuniga che ballano la macarena e sull’odio viscerale che prende un po’ tutti quando Lavezzi sembra assomigliare a Pià. Ma io sono pronta a mettermi tutti nel sacco, eh, non ci provate neppure: qui c’è l’anima femminile del napolista, mica bruscolini. Così, mi lancio in improbabili conversazioni calcistiche anche con il mammasantissima di due metri e ottanta per 50 quintali che siede davanti a me (e a cui mia zia quasi spegne la sigaretta sul braccio, facendomi temere per un attimo per l’incolumità di noi tutti, ma il mammasantissima, per fortuna, è un signore e continua a rivolgerci la parola senza fare una piega, neppure sulla bruciatura..) e con il mio vicino di posto, mentre spero che entrambi siano miei compagni per tutto il campionato, anche se ho visto  qualcuno stracciare il biglietto, dunque niente abbonamento, vabbè.
Poi la partita, che è stata quello che è stata, con adrenalina, delusione e alla fine un realistico “ci è andata bene così”. Ma il dado è ormai tratto, la conversione della Posillipo iniziata, posso garantirlo: alla fine del primo tempo ero già stata consacrata reginetta della mia modestissima porzione di Tribuna, guadagnandomi il rispetto dei pochi fortunati inebriati dal profumo  dei friarielli. Quando ho scartato il mio panuozzo, infatti, tutti gli occhi  erano puntati verso di me. “Salute!” ha esclamato il mio vicino, mentre gli  amici facevano il segno di levarsi il cappello da testa. Questione di rispetto ed il rispetto si guadagna sul campo, non c’è che dire. Perciò ci vediamo  giovedì, in Tribuna Nisida. Io sarò quella con la cotoletta abbracciata dai  peperoni, in mezzo al panino. È così che si fanno le rivoluzioni. E iamm’a  verè…
di Ilaria Puglia

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