A tavola undici contro undici

Io c’ero. E ho visto cose che voi umani nemmeno vi sognate. Due tavoli da undici (Quelli della Nisida vs. Napolisti) che neppure se avessimo voluto studiare uno schema a tavolino ci avremmo pensato a riempire. Iniziata come una simpatica cena tra quasi perfetti sconosciuti e finita con le lacrime agli occhi dalle risate. Dite […]

Io c’ero. E ho visto cose che voi umani nemmeno vi sognate. Due tavoli da undici (Quelli della Nisida vs. Napolisti) che neppure se avessimo voluto studiare uno schema a tavolino ci avremmo pensato a riempire. Iniziata come una simpatica cena tra quasi perfetti sconosciuti e finita con le lacrime agli occhi dalle risate. Dite quello che volete, ma io sono tornata a casa contenta e stamattina questo senso di leggerezza e comunanza universale – che solo la passione calcistica può regalare – non mi aveva ancora abbandonata e non mi abbandona neanche adesso. Persino la direttrice della scuola dei miei figli, oggi, mi è sembrata più simpatica… vabbè, quasi.
Inutile cercare le parole giuste: non ci sono. E’ da ore che penso a quali utilizzare, a cosa scrivere, ma a questo punto è chiaro che il tentativo non sortirà alcun effetto. Perciò si procede per flash, tutto il resto diventa ricordo indelebile. La cosa più divertente è stata vedere, su Facebook, a poche ore dall’evento, tutti che stringevano amicizia con tutti, in un tripudio di entusiasmo e postumi del vino. E chi se lo immaginava che esistessero ventidue cervelli così? Decisamente fulminati, eclettici, pieni di metafore colorite, di immagini, di ricordi calcistici remoti e pazzeschi, di semplice quotidianità, di spunti (quanti!), persino di silenzi rumorosissimi. Perché al di là del fatto che siamo stati tutti bene insieme, al di là del colore che ci accomuna (l’azzurro), al di là della squadra del cuore, è il comune sentire che fa la differenza, l’entusiasmo a cui più volte mi sono appellata e che, continuo a ripetere, è l’unico valore aggiunto che possiamo dare alla nostra esistenza – calcistica e non.
Il rammarico più grande è stata sicuramente l’assenza del vero organizzatore della serata, il vate Fabbrini. Ci perdoni, Vate, ma il pullman napolista era già stato prenotato, i giocatori convocati erano già in viaggio, tra incastri pazzeschi pur di essere lì, la squadra si era già messa pantaloncini e maglietta e, soprattutto, o’ core int’e’ cazette.. ci saremmo dribblati anche nostra mamma pur di essere lì, ieri sera. Ma la promessa è di organizzare la vera cena napolista, aperta a tutti, assolutamente prima dell’estate. Sarebbe carino organizzarla in concomitanza di una partita, magari dell’Argentina: guardare una partita del Re insieme, per dei napolisti, può essere come mangiare dallo stesso piatto e allora diventeremmo fratelli siamesi, un patrimonio per la vita. Dove non ha importanza, quando neppure, purché si faccia, presto, per me anche ogni settimana.
Sì, è impossibile tradurre in parole di senso compiuto tutto ciò che ha fatto della serata di ieri una serata indimenticabile, credo per tutti, persino per le mogli simpatizzanti che si sono rivelate delle compagne di viaggio meravigliose con cui dividere una serata, anche per noi che non le conoscevamo – e se lo dice una donna, credetemi, non può che essere vero (va bene, marito ingrato che non mi porti allo stadio, la prossima volta ti porto con me).
Anche la parentesi musicale è stata commovente. A me la versione ucraina di Maruzzella è piaciuta uguale, anche con le parole sbagliate e su Kalinka mi sono venuti i brividi. L’unica nota stonata è stata il tiramisù. Ma mi sono goduta persino quello. Come ha detto il direttore poco fa al telefono: il Napolista è come il porco, non si butta via niente.

Ilaria Puglia

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