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A Calcinate, casa di Manolo Gabbiadini, apprezzano la cucina napoletana

A Calcinate, casa di Manolo Gabbiadini, apprezzano la cucina napoletana

Ogni giorno, in Padania, quando un Bergamasco si sveglia, sa che dovrà correre più veloce della nebbia se vorrà sopravvivere. L’ho letta su un sito lombardo. Insieme a quest’altra frase: “No, àrda che só segür, i me l’hà dicc ol mé nóno che chèi de Bèrghem i éra mia terù. I éra Zèltech. Fìga, pò chèi piö Zèltech de töcc. Eh pòta, per fórsa!”, ma questa qui non l’ho capita. Del resto pure Dante, prendeva in giro i dialetti incomprensibili di questa parte del Paese.

Divisa in Bèrghem de hura e Bèrghem de hóta, che sarebbe Bergamo di sopra cioè il centro storico e Bergamo di sotto, la parte più moderna, la città di riferimento dell’Atalanta non si può definire una località dove l’allegria sia di casa. Lo vedete il nostro Manolo? Quando sorride diventa una notizia.

Manolo è più precisamente di Calcinate, Calsinàt in dialetto bergamasco, comune che conta più o meno 6mila abitanti. A Calcinate c’è il Ristorante Amalfitano, uno dei vari locali specializzati in cucina campana e napoletana in quella provincia. La famiglia Proto, originaria della Costiera, propone: paccheri allo scoglio, scialatielli ai frutti di mare; pizza napoletana con la mozzarella di bufala; pastiera, torta caprese, fruttini di Amalfi; limoncello e i vini della Campania.

Quella dei Proto non è l’unica famiglia che dalla Costiera è emigrata nel bergamasco. Nel dopoguerra ne partirono da Tramonti, Amalfi, Minori e Maiori, per avviare attività di ristorazione in tutto il nord Italia e, in modo particolare, in provincia di Bergamo. C’è stato poi il ricambio generazionale ma i tratti distintivi della cucina sono ancora ben riconoscibili e, quando vengono messi in evidenza, risultano vincenti anche in un territorio diffidente verso la cultura e le tradizioni meridionali. Nascono così, tra gli altri, ristoranti e pizzerie che si chiamano come nelle migliori tradizioni di campani sparsi per il mondo: Marechiaro, Vesuvio (si, proprio come il nome tanto invocato anche dai tifosi atalantini…), Grotta Azzurra della famiglia Bove, originaria di Novella, una delle tredici frazioni di Tramonti, e così via.

Diciamo che sul cibo i pronipoti dei Celti hanno accolto a braccia aperte i campani e soprattutto i partenopei, come Gennaro Mangiarulo, napoletano che negli anni ’50 arrivò nella città degli Orobi, portando con sé l’arte della pizza, la voglia di lavorare e quella dose di fantasia e creatività che è tipica del nostro popolo. Nel ’72 fondò “Gennaro e Pia”, locale gestito insieme alla moglie che, attualmente, lo porta avanti con successo insieme a figli e nipoti, meritando di recente un Certificato di Merito per la loro carriera nella migliore ristorazione, conferito dalla Associazione Mestieri d’Autore.

Giuseppe, tifosissimo del Napoli, vissuto a Bergamo molti anni per motivi di lavoro e che adesso è tornato a casa sua in Campania, precisamente a Telese Terme in provincia di Benevento, ricorda bene la passione dei bergamaschi per la pizza e per i sapori del sud. E ricorda anche gli esordi di Manolo Gabbiadini: «Veniva a fare qualche torneo contro la Us Loreto Bergamo e le altre nostre squadrette del settore giovanile – racconta Peppino, che in questi giorni sta festeggiando anche l’arrivo del Benevento in serie B -. Disputavamo i vari tornei esordienti, giovanissimi, pulcini e Manolo, a quell’età e con la maglia dell’Atalanta era già forte».

In chiusura, una curiosità. La squadra bergamasca porta il nome di un personaggio della mitologia greca. Atalanta, velocissima e forte nella caccia, figlia di Iaso, re dell’Arcadia, e di Climene. E sapete come si chiama il figlio di Atalanta? Si chiama Partenopeo. Nato dall’unione con Melanione che riuscì a ottenerla in sposa dopo averla battuta in una gara di corsa, con l’aiuto di Afrodite e di 3 mele d’oro.

E chest’è. Edamus, bibamus, gaudeamus! E sempre forza Napoli! 

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