Il Napoli rovina la festa scudetto di novembre della Roma

Il calcio non premia chi apparecchia la tavola prima del tempo. Il Napoli rimanda la Roma a casa con la pagella del trimestre: “volenteroso, ma confonde entusiasmo con risultati”

Napoli

Dc Roma 30/11/2025 - campionato di calcio serie A / Roma-Napoli / foto Domenico Cippitelli/Image Sport nella foto: tifosi Roma

Il Napoli rovina la festa scudetto di novembre della Roma

La Roma aveva apparecchiato l’Olimpico come per una cresima fuori stagione: bandiere, colori saturi, striscioni stupidi e il profumo di scudetto anticipato, quello che a novembre fa lo stesso effetto delle ciliegie a febbraio — bello da vedere, sospetto da mangiare. Una festa programmata come un compito in classe facile, di quelli che tutti copiano da tutti. Ma il calcio, si sa, è professore severo: ti sembra di meritare un bel voto, poi arriva qualcuno a ricordarti che la pagella vera si consegna molto più avanti.

Quel qualcuno, stavolta, è il Napoli. Che non solo entra in classe puntuale, ma porta anche la lezione già fatta. E, dettaglio non irrilevante, lo fa incerottato, pieno di assenti, con più giocatori in infermeria che in panchina. Una squadra che dovrebbe contare le pezze, invece conta i punti. Si inventa un modulo nuovo, quasi un origami tattico: piega, ripiega, incastra, ed ecco una forma che improvvisamente pare perfetta. Un ibrido elegante, come un tema scritto in fretta ma consegnato benissimo.

Altro che assedio romanista: parte forte il Napoli, fortissimo. Il primo tempo è una dimostrazione a cielo aperto di come si gioca a pallone quando si ha un’idea e la si rispetta. Trame pulite, distanze scolastiche, applicazione da studenti modello. La Roma sbuffa, si agita, strappa il quaderno: il Napoli sottolinea, ordina, evidenzia. Buongiorno è devastante, Lobotka è clamorosamente il migliore in campo.

E quando i giallorossi provano una timida scalata, ecco il contropiede che divide la serata come una matita spezzata: Neres parte e se ne va, leggero come uno che non vuole farsi interrogare. Poi apre il piede e firma il gol. Silenzio. Non quello bello, quello necessario. Perché quel silenzio è la risposta più educata — e più dura — ai versi e ai cori che scendono dagli spalti. Neres non esulta, ma detta una riga: a volte un pallone ben calciato vale più di mille prediche. Col dito al naso riporta la realtà sul prato.

L’Olimpico, che un attimo prima sembrava un’aula magna, si svuota di senso come una classe dopo l’intervallo. La Roma barcolla, il Napoli no. Nel secondo tempo i giallorossi provano la rimonta con la stessa convinzione di uno studente che tenta di recuperare quattro insufficienze a maggio.
Nel frattempo, dalla tribuna Gasperini — che all’Olimpico non insegna, predica e da consigli sui barbieri — decide di stupire tutti. Prima toglie il migliore in campo, Wesley, quello che stava tenendo in piedi l’illusione romanista con l’intensità di uno che ha studiato davvero. Poi butta dentro Dybala, che entra in campo come uno che ha dimenticato il libro a casa e spera di cavarsela col sorriso. Non gli riesce. Sembra imballato, imbarazzante in certi movimenti. Uno che dovrebbe illuminare la scena e invece spegne pure i fari di emergenza. E la Roma, senza il suo faro, naviga a vista come una barchetta di carta in una pozzanghera.

E come spesso capita in questi casi, arriva solo un colpo tardivo: il primo vero tiro al 90’, utile al tabellone più che alla storia. Utile a Milinkovic Savic per entrare nelle cronache.

I cori restano lì, appesi come bigliettini degli appunti presi a metà, poco utili quando il professore ti becca e non puoi copiare più. Il Napoli invece controlla, elegante e pratico, come un allievo che non ha bisogno di alzare la voce perché ha già la risposta giusta.

Finisce che il Napoli rovina la festa scudetto di novembre della Roma. Ma dire “rovina” è sbagliato: restituisce semplicemente la pagella del trimestre, con la nota più antica del mondo: “volenteroso, ma confonde entusiasmo con risultati”. Il calcio non premia chi apparecchia la tavola prima del tempo. Premia chi arriva fino a giugno con i compiti fatti, anche se ha passato l’anno con le ginocchia sbucciate e il ghiaccio sulla caviglia.
E mio nonno, tifoso dapprima che nascesse il Napoli, da qualche nuvola con vista sul centrocampo, ci lascerebbe un appunto blu, con la calma di chi la sa lunga:

“Il Napoli non ha spento una festa. Ha ricordato l’ovvio: a novembre non si vincono gli scudetti. Si prendono appunti.” Spegnendo la sua candelina, nel suo compleanno non avremmo mai potuto perdere.

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