Fognini: «Non guardo più il tennis, “no Fognini no party”. La Davis? A Napoli mi cantarono ‘o surdato nnammurato»
Ora è manager di Cobolli. Al CorSera: «Ho capito subito che Flavio era un cagnaccio, ha grinta, cazzimma, non molla mai: il tennis gli va dietro».

Italy's Fabio Fognini eyes the ball as he returns the ball to Norway's Casper Ruud during their men's singles second round tennis match on the third day of the 2024 Wimbledon Championships at The All England Lawn Tennis and Croquet Club in Wimbledon, southwest London, on July 3, 2024. (Photo by Ben Stansall / AFP) / RESTRICTED TO EDITORIAL USE
L’ex tennista Fabio Fognini, attualmente manager di Flavio Cobolli, ha rilasciato un’intervista al Corriere della Sera sull’Italia in finale di Coppa Davis proprio grazie al suo assistito e a Matteo Berrettini.
L’intervista a Fognini
Ha seguito i 14 match point di Cobolli che sono stati visti da un picco di oltre 5 milioni di spettatori?
«Seguo i risultati ma non guardo più il tennis: ho staccato. No Fognini, no party. Ora sono concentrato sul ballo».
Qual è la magia della Davis?
«Qualsiasi bambino italiano sogna di vestire l’azzurro, da grande. Io mi trasformavo, rendevo di più. Ho scritto a Flavio: hai vinto una partita da Davis, bravo, hai giocato un match come piacciono a me».
Rispetto alla sua Davis, è cambiata la formula. Cosa ne pensa?
«L’hanno trasformata, dicono in peggio. Lo penso anch’io. I top player chiedono di disputarla una volta ogni due anni, non so cosa pensare. Certo i forfait di Sinner e Alcaraz le hanno fatto perdere smalto. Mancano i nomi, tra i top 10 c’era solo Zverev. Non fa bene alla Davis. Va rivista».
L’impresa di Napoli con Murray rimane il suo fiore all’occhiello in Nazionale…
«Una partita memorabile. Aprile 2014: arrivai sulla terra dagli ottavi di Indian Wells e Miami. Mi ero anche fatto male. Poi a Napoli successe qualcosa di incredibile. 6-3, 6-3, 6-4 al re di Wimbledon, ribaltando l’inerzia della sfida con la Gran Bretagna. Tutto il centrale, alla fine, mi cantò ‘O surdato ‘nnammurato. Sono brividi che vanno vissuti: me li porto ancora dentro. In Davis è tutto sovradimensionato, anche il dolore per le sconfitte. Il 7-5 al quinto nel match decisivo con Nedovyesov ad Astana, per esempio: Kazakistan avanti e noi ai playoff».
Oggi contro la Spagna siamo nelle mani di Berrettini e del “suo” Cobolli. Perché scelse proprio Flavio come talento da gestire?
«Mi allenavo a Roma con Corrado Barazzutti, il mio capitano, dopo l’operazione alle caviglie. Conoscevo Stefano Cobolli, il papà-coach: dai mandami tuo figlio per allenarmi, gli ho detto. Ho capito subito che Flavio era un cagnaccio, uno che dà sempre battaglia. È giovane, può crescere tanto. Per esprimersi deve stare bene fisicamente: in questo mi ci rivedo. Ha grinta, cazzimma, non molla mai: il tennis gli va dietro. Deve aggiungere livello tecnico, ma lo sa anche lui. Come carattere, niente da dire. Con Bergs si è notato».











