Piccinini: «Tifavo Napoli, ricordo il dolore per il gol di Altafini core ‘ngrato. E poi il rumore del San Paolo per Maradona»
Alla Gazzetta: "Da piccolo tifavo Juventus, per Sivori. Col tempo, mi sono legato ai calciatori. Berlusconi mi chiamava anche per i polsini della camicia sotto la giacca"

Piccinini: «Tifavo Napoli, ricordo il dolore per il gol di Altafini core ‘ngrato. E poi il rumore del San Paolo per Maradona»
Il calcio d’una volta, artigianale ai limiti dell’incredibile, vien fuori magnificamente da una lunga intervista di Sandro Piccinini. Per esempio: il padre, Alberto Piccinini, fu gran difensore della Juve e poi al Milan. Ma quando giocava alla Salernitana l’allenatore Gipo Viani “gli assegnava la maglia numero 9 per depistare gli avversari. All’epoca non giravano tante informazioni, si procedeva per abbinamenti, il 5 marcava il 9. E così capitava che in partenza il 5 degli altri andasse marcare mio padre 9 nella metà campo della Salernitana e aprisse un buco nella propria area, un vuoto in cui si infilavano le mezzeali. Un effetto sorpresa che in media durava 30 minuti, poi gli avversari si sistemavano, però capitava che lo stratagemma fruttasse un gol. Viani era così bravo che il suo sistema di gioco venne ribattezzato Vianema”.
Racconti così. Piccinini racconta i suoi esordi prima come calciatore bocciato ai provini da Liedholm (“mi chiese: ‘Come vai a scuola?’. Risposi: ‘Benissimo’. E lui: ‘Bravo, continua a studiare. Il calcio è per pochi’. In quel momento lo odiai, ma aveva ragione il Barone”), e poi nel giornalismo. A leggere cosa si faceva in gavetta allora, sembrano passate due ere zoologiche. Per esempio, quando non avendo i diritti radio per le cronache delle partite si inventò la diretta “in differita” dal telefono a gettoni di un bar: “Sentimmo squillare un telefono. Era l’apparecchio del bar. Raffaele mi disse: ‘Prendi un sacchetto di gettoni e chiama in studio da quel telefono’. Da lì però la partita non si vedeva, così chiesi aiuto a Raffaele Pellegrino, che poi sarebbe diventato produttore del Tg5. Raffaele guardava la partita, segnava le azioni su dei bigliettini che ogni tanto mi portava. Io li leggevo e ci imbastivo su un racconto. Tornato a casa, mia madre disse: ‘Sei stato bravo, però ai gol non c’erano mai i boati’. E certo, li raccontavo in differita”.
Piccinini e le sue sciabolate: sono quattro
O ancora: “Mi ricordo Genova, stadio di Marassi. Facevamo i collegamenti dal terrazzo del signor Fisco, dietro la gradinata Sud. Gli davamo 50 mila lire per usare il suo telefono e lui ne chiedeva altre 10mila ciascuno ai 10-15 spettatori attorno a noi. Si chiamava Fisco, ma era tutto in nero, ovviamente. Forniva il servizio taxi, ci veniva a prendere all’aeroporto. Genoa-Roma 1-1, la partita dello scudetto giallorosso del 1983, con Liedholm allenatore. Alla fine, per dare l’idea della festa, chiedemmo agli spettatori del signor Fisco di mettersi a urlare per trasmettere l’idea della festa, come se fossimo stati in campo. Io dissi: “Sentite attorno a noi la bolgia infernale dei romanisti”.
Ha inventato un linguaggio: le sciabolate. “Sono quattro: la classica, la morbida e la tesa a seconda delle parabole, e la disperata, tipica dei minuti finali, quando bisogna recuperare il risultato. Poi mi sono inventato “non va” e “mucchio selvaggio” per sintetizzare dei momenti essenziali, ma devo stare attento a non abusarne sennò mi accusano di dire sempre le stesse cose”.
A Mediaset Berlusconi lo chiamava per i dettagli, mica per le telecronache: “Berlusconi era attento al prodotto. Una sera mi contattò all’intervallo di un Real-Barcellona: ‘Bravo come sempre, Piccinini, lei ha una bella voce ed è competente, però all’inizio ha fatto la lista degli infortunati del Real e la gente avrà cambiato canale. La prossima volta non mi dica i motivi per cui non devo guardare la partita, ma quelli per cui la devo vedere’. E un’altra sera, dopo un tg sportivo in studio: ‘Piccinini, lei sotto la giacca porta le camicie a maniche corte?’. Risposi: ‘Assolutamente no’. E lui: ‘E allora la prossima volta si assicuri che le maniche della camicia spuntino per un centimetro fuori dalla giacca’. Berlusconi era maniacale sui dettagli, curava all’estremo la qualità dei suoi programmi”.
C’è anche il Napoli nella sua vita: da bambino tifava per la Juve “perché ero pazzo di Omar Sivori. Il Cabezòn derideva i difensori con i suoi tunnel. Quando passò al Napoli, lo seguii, nel senso che diventai tifoso del Napoli e nel 1975 subii la grande delusione del gol di Altafini, “core ‘ngrato”, passato dal Napoli alla Juve. In quel 2-1 per la Juve, il Napoli venne punito proprio da Altafini… La prima domanda che mi fecero a TVR Voxson fu: ‘Sei della Roma o della Lazio?’. Nessuna delle due, anche se abitavo a Roma. Con il lavoro, però ho smesso di tifare. Mi sono legato ai giocatori: Rivera, Ancelotti, Maradona…”.
“Messi più o meno ha fatto le stesse cose di Diego, ma quel brusio del San Paolo, quando la palla viaggiava verso Maradona, quel brusio di ammirazione e di speranza che Diego si inventasse qualcosa, quel brusio non l’ho mai sentito da nessuna altra parte. Di Maradona, talento allo stato purissimo, mi emozionava il minimo tocco del pallone. Lui non si allenava o si allenava quando voleva. Maradona era arte”.











