Ci volevano Netflix e i sauditi per capire che il tennis ripreso dal basso è un’altra cosa
La (non) rivoluzione delle riprese di Netflix: dal basso si percepisce il vero tennis, la sua velocità e ferocia. Il futuro è nella visione che ti immerge nel campo

Quella cosa degli spettatori del tennis seduti alle spalle della seggiola dell’arbitro, che fanno capolino con la testa, di qua e di là, per seguire la maledetta pallina senza acchiapparla mai. Ecco, quella è preistoria. È dal pleistocene che chi guarda il tennis sa che bisogna mettersi dietro i giocatori, in “curva”, per apprezzare la profondità del campo ed evitare di dover ricorrere all’osteopata per il torcicollo. Ce l’ha insegnato, se non la pratica, la tv. Solo che le tv stanno arrivando – con un inquietante ritardo – ad un’epifania: il tennis si vede meglio dal basso. Non dall’alto delle piccionaie a cui ormai siamo assuefatti, con quelle inquadrature un po’ asettiche che consentono una visione completa ma parzialissima, mondata della velocità percepita, dell’intensità che dal vivo diventa esperienza quasi tattile. Dovevano arrivare Netflix e il Six Kings Slam a Riad, nientemeno, a frustare i sensi dello spettatore del tennis televisivo (una creatura che sopravvive alla noia spolliciando su Instagram per lunghissimi set fino a quando il telecronista non gli urla, svegliandolo: “oh, guarda che punto!”).
Vuoi vedere che i miliardari assiepati nei palchi in prima fila, sì proprio alle spalle di Alcaraz e Sinner, non pagano cifre Elonmuskiane solo per farsi inquadrare e invidiare? Non si sa come, ma la traslazione di quel privilegio nelle case degli abbonati alle piattaforme non era ancora scontata. Finora. La logica del “pov” (acronimo di “Point of View”), che tante soddisfazioni ha dato all’industria del porno, l’avanguardia dell’entertainment più screditata di sempre. Sfrocoliare l’immedesimazione dell’osservatore, regalargli un posto in campo, la tangibilità del campione lì ad una spanna. Eccolo lì, il “segreto”.
Mille parole per dire una cosa che in video è molto più evidente. Guardate qua:
Jannik Sinner from court level, out of this world pic.twitter.com/jLtjsjD6cZ
— Bastien Fachan (@BastienFachan) October 15, 2025
Il Sinner dall’alto – è palese – non è equiparabile al Sinner dal basso. Basta cambiare angolazione e si apre un mondo. Ecco quanto duramente colpiscono quella palla, ecco quanto rimbalza presa dai mille giri del top spin, ecco la ferocia di un recupero per noi umani impossibile, ecco la rapidità di movimenti e l’istinto per anticipare una traiettoria. Velocità biologica, tempi di reazione, performance: esibizionismo fisico allo stato puro. Dov’era nascosto, maledetta regia?
Certo, sacrifichi la percezione della profondità, la chiarezza schematica del punto. Ma il futuro dello sport “consumato” sta nell’immersione: cosa provano i giocatori – il loro “pov”, appunto – il passaggio del proiettile sulla rete, gli effetti, gli angoli, il ritmo da ping pong che dal cielo viene disinnescato per distanza.
Il tennis, come molti altri sport, si lambicca da anni su come mutar pelle per intercettare nuovo pubblico: killer point, set a 4 game, super-extra-mega-long-tiebreak ed amenità accessorie. Eppure la soluzione è lì “sotto” gli occhi di tutti. Basterebbe fornire il doppio servizio: la tradizionale visione dell’alto, e – per chi vuole – l’eccitante e stordente inquadratura dal basso. Come usava nei videogame di corse automobilistiche già a fine Novecento. Quando ce la venderanno come “novità”, annuiremo e pagheremo un abbonamento in più. Come sempre facciamo da quando scaldiamo l’acqua già calda urlando “prodigio!”.