Piccini: «All’Atalanta stavo rischiando la depressione, ho pregato di tornare a Valencia senza essere pagato»
Ad As: «Mi avevano dato in prestito ma lo staff medico dell'Atalanta non ha saputo curarmi. Lasciai la Fiorentina da giovane perché in Italia ti disilludono con i tanti prestiti che ti fanno fare».

Db Genova 10/10/2018 - amichevole/ Italia-Ucraina / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Cristiano Piccini
L’ex giocatore di Valencia e Atalanta Cristiano Piccini ha rilasciato un’intervista ad As dopo il suo ritiro dal calcio giocato.
L’intervista a Piccini
Come ha fatto un ragazzo promettente di Firenze a non giocare mai per la Fiorentina?
«Soprattutto in Italia, era difficile per un ragazzo essere in grado di entrare in un club così importante come la Fiorentina. La cosa normale era uscire dalla Primavera, che è come la seconda squadra. Se fai bene, e progredisci come ho fatto io, giochi in Serie C. L’anno successivo sempre in prestito in B e l’anno successivo in prestito in A, in una squadra più piccola. Poi a me è arrivata l’offerta del Betis e anche la mia decisione di voler provare un’esperienza all’estero, dopo essere stato un po’ disilluso, per tanti prestiti, dal calcio in Italia».
Una città allettante Siviglia per un atleta…
«Certo, mi sono trovato in una città suggestiva sotto questo aspetto e all’inizio non sapevo come gestirla. Ho avuto un sacco di lesioni muscolari, non ero un professionista, non ho problemi ad ammetterlo. L’anno seguente Betis mi ha comprato perché il primo anno ero in prestito. Avevo già capito che anche il mio corpo stava cambiando. All’età di 22 anni, ho giocato 18 partite di fila a un buon livello e poi mi sono rotto il crociato. E ovviamente la mia crescita si è fermata un po’. Dopo la seconda stagione, lo Sporting Lisbona mi ha ingaggiato. Lì ero un titolare inamovibile, ho giocato tutte le partite, mentre successivamente a Valencia, alla mia seconda partita contro l’Espanyol, abbiamo perso a causa di un mio errore. Poi quando mi sono sistemato lì, ho iniziato ad andare in Nazionale, è stato molto bello, ma all’alto rendimento si alternavano gli infortuni».
Con la frattura alla rotula c’è stato un prima e un dopo della sua carriera…
«Sì, certo, lì è finita completamente la mia carriera, ha cambiato tutto, perché penso che sarei stato molto importante a Valencia, o avrei potuto continuare a giocare ad alti livelli. Mi sono fatto male a 26 anni e sono tornato a 29».
E dopo un anno infortunato viene ceduto in prestito all’Atalanta…
«Sì, ero in Champions. Era l’anno dopo il Covid».
Gioca solo una partita, cosa è successo?
«Che ero ancora mezzo infortunato. Sono stato stupido perché mi sono lasciato convincere, ma non ero pronto a cambiare club, ovviamente. Avevo ancora molta strada da fare per stare bene. Non riuscivo a saltare con la gamba destra. Hanno deciso di ingaggiarmi dandomi un mese di tempo per stare bene e magari tornare in Nazionale. Ma in realtà hanno affrettato i tempi quando ancora non ero pronto. Ho passato mesi a svegliarmi alle sei di mattina, andare in palestra, tornare a casa, fare colazione, andare al centro sportivo, fare trattamenti, allenarmi, mangiare, tornare a casa con il mio fisioterapista. Vivevo solo per riprendermi. Poi, ovviamente, vedi che non c’è via d’uscita, che non si migliora, e poi ovviamente vai in una nuova squadra dove ti dicono certe cose e poi non le soddisfano e ti ritrovi così solo, anche se era il mio Paese, anche se avevo la mia famiglia più vicina. E’ stata una decisione sbagliata andare lì.»
Ed è tornato a Valencia…
«A gennaio, nel mercato invernale, mi avevano detto al Valencia che non potevano pagarmi lo stipendio se fossi tornato. Ma ho detto loro che dei soldi non mi importava, perché avrei rischiato la depressione all’Atalanta. Per sei mesi non sono stato pagato, ma in quel momento ho preferito andare in un posto dove mi amavano, dove si prendevano cura di me e dove sapevano quello che avevo perché l’hanno vissuto con me e dove ho davvero fatto un piano per riprendermi fisicamente».