Marchisio: «Alla Juve troppi cambiamenti, quelli che ai miei tempi erano in vendita poi hanno fatto la storia»
A La Stampa: «Anche io rischiai di andare via, allo United o al Bayern. Difendo Locatelli e Thuram, Koopmeiners deve fare lo switch mentale».

Db Torino 11/03/2018 - campionato di calcio serie A / Juventus-Udinese / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Claudio Marchisio
Il quotidiano La Stampa ha intervistato l’ex calciatore della Juventus Claudio Marchisio sull’andamento dei bianconeri in questo inizio di stagione e sulla Nazionale italiana.
L’intervista a Marchisio
La nota lieta delle partite di sabato è stato Pio Esposito, ma resta il fatto che siamo stati surclassati da Haaland e compagni. Possibile che la Norvegia abbia più talenti dell’Italia?
«I talenti ci sono, però vanno “educati” e aiutati: penso alle attività di base ancor prima che ai settori giovanili. Spesso dirigenti e allenatori dicono che si impegnano per cercare di portare più giocatori italiani possibile ad alto livello, ma che devono constatare che non sono pronti. E se i giocatori non sono pronti vuol dire che si è lavorato male prima. Inoltre dobbiamo riflettere sulla percentuale di stranieri: siamo oltre il 70% in Serie A. La Uefa, la Fifa dovrebbero mettere un tetto del 50% degli stranieri nei tornei professionistici, secondo me».
La Juventus non è messa meglio della Nazionale: deve inseguire…
«Ci sono stati troppi cambiamenti: a livello societario, di allenatore, di giocatori. Una squadra vincente non la costruisci in sei mesi, in un anno. Prima di iniziare a vincere, la “mia” Juve era reduce da due settimi posti. Nel gruppo c’erano sei, sette undicesimi di giocatori sul mercato perché c’era bisogno di fare cassa o perché si diceva non fossero “da Juve”. Poi però son rimasti e hanno fatto la storia del calcio. Sui giudizi bisognerebbe stare più calmi».
Anche lei rischiò di andar via? Chi la voleva?
«Si parlava tanto di United e Bayern. Qualche film me l’ero fatto, ai tempi. Anche perché ho sempre avuto la passione dei centrocampisti box to box della Premier: il Manchester mi attirava. Ma non c’è mai stato il desiderio di andare ad approfondire».
Quel centrocampo: lei, Pirlo, Vidal, Pogba. Ora…
«Sono dell’idea che le squadre forti nascono da un centrocampo forte. Ora però il mercato è chiuso e bisogna alzare il livello con chi c’è, che comunque non è male. Difendo sempre Locatelli: è italiano, tifoso juventino, ha qualità. Poi c’è Thuram, imprescindibile. E mi auguro che il “nuovo acquisto” possa essere Miretti. Koopmeiners? Deve trovare nella testa lo switch che gli permetta un rendimento all’altezza».
Ci racconta quando l’ha resa felice il calcio?
«Mille volte! Quando nel 1994 c’erano i mondiali in Usa e io per strada giocavo a imitare Roberto Baggio, quando ho esordito nella Juve, quando ho giocato la finale di Champions. Quando sei lì a giocare una partita e poi la perdi hai una grandissima delusione. Ma poi quando passa il tempo, se vai a ripensare a quello che hai vissuto, beh, allora anche quella finale persa non puoi vederla che come una cosa bella perché ti ricorda il percorso che hai fatto per arrivare fin lì».