Alessio Lisci, nuovo allenatore dell’Osasuna: «Il calcio si evolve, ma verso cose già accadute» (El Paìs)
Il tecnico italiano si prepara ad un debutto di fuoco in Liga contro il Real Madrid (El Paìs)

Alessio Lisci, tecnico italiano, approdato da poche settimane all’Osasuna è pronto ad un debutto di fuoco in Liga contro il Real Madrid dopo tanta gavetta nelle serie inferiori sempre in Spagna. Allena da tanti anni, a dispetto della giovane età. La partita in programma domani sera sarà per lui un debutto di fuoco. ‘Osasuna, il club che lo ha ingaggiato dopo la sua grande esperienza in panchina al Mirandés, con cui ha giocato la finale promozione in Liga della scorsa stagione, El Paìs lo ha intervistato
Lisci è pronto al debutto di fuoco contro il Real Madrid
Perché la Spagna?
«Mi è sempre piaciuto il calcio spagnolo. La mia idea era anche quella di fare il corso per allenatori, e in Italia è molto difficile se non hai giocato in serie A. Seguivo il calcio spagnolo. Ricordo il Super Deportivo, Ronaldinho al Barça, il primo Messi. In realtà, quando ho iniziato a seguirlo, era ai tempi di quella nazionale che si diceva giocasse molto bene, ma non vincesse mai. Da quando avevo 14 anni, ho sempre lavorato d’estate sull’isola di mio padre. Capisci che nessuno ti regala niente. A Valencia mi allenavo la mattina, andavo al lavoro a mezzogiorno e mi allenavo il pomeriggio. Non tutti possono farlo. C’è un detto che dico sempre: il lavoro non mente mai».
Racconta perché ha smesso di giocare presto
«Se ti accorgi di non essere all’altezza del compito di diventare un professionista, è meglio provare un’altra strada per rimanere in questo mondo. Quando giocavo, giocavo già da una prospettiva molto tattica. A volte vedevo il calcio come gli scacchi. Ora non più. Non è che nel calcio si possano fare le stesse mosse che negli scacchi, ma ti apre la mente. Quando ti blocchi, cosa che succede spesso negli scacchi, ti aiuta a vedere le cose da una prospettiva diversa, facendo mosse che potrebbero non avere senso all’inizio, ma che possono cambiare una partita».
Sulla sua idea di calcio e il suo modo di allenare
«I giocatori mi piace spingerli al limite per vedere cosa possono darci. E, da lì, tornare alla normalità. Ancelotti ha detto che alcuni giovani allenatori stavano limitando l’attacco? Potrebbe essere. A volte, quando si cerca di generare troppi movimenti automatici, il giocatore diventa un po’ inibito. Cerchiamo di creare movimenti automatici liberi, per così dire, in modo che sappiano quali spazi attaccare e come, ma non mi interessa se è l’attaccante, il centrocampista offensivo o l’ala a farlo. È tutta una questione di sfumature, di adattamento all’avversario. Il calcio si evolve ed è ciclico. Ad oggi nelle mie squadre è molto importante la libertà».
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Dici di essere un allenatore migliore ogni anno. Qual è il miglioramento più significativo che hai ottenuto?
«Nella libertà. Prima automatizzavo molto e le mie squadre erano molto riconoscibili con la palla, a volte in meglio e a volte in peggio, perché in quel caso è difficile avere un piano di riserva. L’evoluzione mi ha permesso di essere diverso nell’ultimo terzo di campo, di segnare più gol».
Quali sonoi conti in sospeso?
«È tutta una questione di sfumature, di adattamento all’avversario. Il calcio si evolve ed è ciclico. Perché si evolve verso cose che sono già accadute. Non è che si evolva verso cose completamente nuove, ma verso altre che sono state lasciate indietro e tornano».
Dove stiamo andando?
«Verso questa libertà. Il gioco posizionale era diventato molto di moda ultimamente. Poi c’è stata un po’ di libertà, e ora siamo tornati a un approccio posizionale molto chiuso, che non credo durerà a lungo. Ci stiamo muovendo verso la fluidità, meno rigidità nei ruoli. Stiamo già iniziando a parlare più delle funzioni di un giocatore in una certa posizione che del suo ruolo. Soprattutto in attacco. In difesa, questo non si può fare».