Max Biaggi: «Avevo l’ossessione di non deludere, oggi manca la consapevolezza di poter fare la differenza»
Al CorSera: «Negli ultimi cinque anni la F1 ha fatto passi giganteschi, mentre la Motogp è un po’ plafonata. Ha bisogno di novità e marchi nuovi».

Italian Grand Prix rider Max Biaggi (L) answers a question as Valentino Rossi of Italy listens during a press conference at the Twin Ring Motegi circuit, 15 September 2005, one day before the start of Japanese Motorcycle Grand Prix. AFP PHOTO / TOSHIFUMI KITAMURA (Photo by TOSHIFUMI KITAMURA / AFP)
L’ex pilota Max Biaggi, intervistato dal Corriere della Sera, ha parlato dei cambiamenti della Moto Gp e delle differenze con i piloti del passato.
Biaggi: «Avevo l’ossessione di non deludere, oggi manca la consapevolezza di poter fare la differenza»
Nostalgia della moto?
«Non è più la mia epoca, anche se ho ricominciato ad andarci…».
Come resiste alla tentazione?
Biaggi: «Ci lavori con la testa. Quando frequenti i circuiti, come nel mio caso, rivivi quelle sensazioni. Ma poi prevale la consapevolezza: non sento più le mani sudate per la tensione di correre».
A parte il talento, come si diventa campioni del mondo?
«Magari ci fosse una ricetta. Il talento è la base della torta, poi bisogna avere un obiettivo fisso e farsi scivolare addosso ciò che capita durante il percorso. Io avevo l’ossessione di non deludere».
A quale dei suoi sei titoli si sente più legato?
«Il primo in 250, nel 1994. È stato come allungare le mani e afferrare un satellite in orbita: avevo iniziato tardi con il motociclismo. Giocavo a calcio, non sapevo neanche chi fosse il mitico Agostini. Sono entrato nell’iperspazio, un’accoppiata storica con l’Aprilia, che non aveva mai vinto un titolo. Fu anche un boom per l’industria degli scooter, simbolo di libertà».
Oggi c’è lo smartphone, la libertà corre senza ruote. Trova i ragazzini di oggi più «seduti»?
«Sì, noi non avevamo social o altre diavolerie. Ma è normale che li abbiano, siamo noi vecchi a essere fuori tempo. Ogni epoca è stata segnata da invenzioni. Alcuni ragazzi oggi pensano solo a esserci e non a voler essere qualcuno. Ma ci sono eccezioni, come Sinner, Musetti o Kimi Antonelli».
Si aspettava un Marquez così forte?
Biaggi: «Sì. Marc è un campionissimo. Guida la Ducati ufficiale e fa la differenza anche sul campione del mondo precedente, Bagnaia. Sta monopolizzando il Mondiale. Ha passato periodi difficilissimi, tra operazioni al braccio e prestazioni altalenanti; sembrava vicino a smettere. Poi ha avuto la chance della Ducati ed è risorto dalle ceneri. È un gesto sportivo e umano da raccontare, un’impresa. Anche chi non è suo tifoso dovrebbe apprezzarla».
Liberty Media, proprietaria della F1, ha acquistato la Motogp. Opportunità o rischio di perdere l’indipendenza?
«Un’opportunità. Negli ultimi cinque anni la F1 ha fatto passi giganteschi, mentre la Motogp è un po’ plafonata. Ha bisogno di un’iniezione di novità e di marchi nuovi: sarebbe bello vedere Bmw e Triumph. Le potenzialità sono enormi, perché le due ruote offrono uno spettacolo unico. Spero di vedere una Motogp diversa in futuro, soprattutto nel contorno».
Bisogna mettere al centro i personaggi, far conoscere i piloti?
«Assolutamente sì. Negli anni prima di me e Valentino Rossi, c’erano Doohan, Spencer, Schwantz e nessun italiano nella classe 500. Eppure, le moto erano popolari e la gente si appassionava ai piloti».
Perché oggi i piloti sembrano tutti telecomandati da squadre, agenti e addetti stampa?
«Non c’erano i social, ma c’è anche il timore di dire cose sbagliate. Inoltre, manca la consapevolezza di poter fare la differenza. Se fosse chiaro nella mente di quattro o cinque piloti, emergerebbero personalità più forti. Se temi che il tuo posto possa essere ceduto a un altro perché “uno vale uno”, allora freni con le parole…».