Caprile: «Il segreto del Napoli è stato accettare Conte che ti fa rimanere in campo anche due ore in più»

A Cronache di Spogliatoio: «Lui vuol far sempre le cose per bene. Il mio scudetto era salvare il Cagliari. Non avrei resistito altri sei mesi in panchina».

Caprile

Empoli 20/10/2024 - campionato di calcio serie A / Empoli-Napoli / foto Image Sport nella foto: Elia Caprile

Elia Caprile ha rilasciato una lunga intervista a Cronache di Spogliatoio in cui ha parlato della sua permanenza a Napoli quest’anno e del prestito al Cagliari negli ultimi sei mesi di stagione.

Caprile: «Il mio scudetto era salvare il Cagliari. Non avrei resistito altri sei mesi in panchina»

Caprile ha scelto di rinunciare alla possibile vittoria dello scudetto:

«Il ragionamento è stato semplice: volevo giocare. È un bisogno fisico che ho. Il campo e lo stadio pieno, decidere le sorti della partita… sono cose impagabili a cui non voglio rinunciare. A Napoli ho giocato 6 partite, in quei 6 mesi sono stato benissimo, sia con il gruppo – pieno di bravissime persone e che non avevo dubbi avrebbe vinto il campionato – che con la piazza. Stavamo bene insieme. Ma personalmente a un certo punto, a dicembre, mi sono guardato allo specchio dicendo: ‘Ok, forse vincerai lo scudetto, ma riesci a reggere altri 6 mesi senza praticamente giocare?’. Ho fatto la scelta più giusta: è vero, il Napoli ha vinto e non sono campione d’Italia, ma sono andato a Cagliari, in una piazza importante e storica del nostro calcio. Avevo detto che per me lo scudetto sarebbe stato salvare il Cagliari. Sono contentissimo di questa scelta: ho trovato un altro gruppo di persone fantastiche, anche chi lavora con la squadra».

Ha poi aggiunto sul “portiere moderno”:

«Il portiere di oggi è Svilar. Lo guardi per 90 minuti e vedi ciò che serve oggi: la presenza sui cross, la presenza in generale… non c’è una cosa in particolare. Ma se guardi una partita della Roma o lo affronti, non hai mai la sensazione di ‘Ok, sto per segnare’. C’è Svilar in porta e sì, può essere un buon momento ma poi devi batterlo. Lui vive la partita per 95 minuti e il portiere moderno deve essere così: vivere la partita, giocare alto, stare nei passaggi. Lui sta alto e non prende molti tiri perché interviene lui prima in uscita sui palloni, oppure da indicazioni ai difensori per prevenire le azioni avversari. La prima volta che ho conosciuto Nicola a Empoli, siamo andati in uno stanzino con il preparatore dei portieri Sicignano e mi ha detto ‘Sei tu il titolare, giochi. Non preoccuparti, voglio un portiere che esce, che rischia, devi essere spavaldo, vai a prendere le rimesse laterali’. E sono cose che abbiamo fatto anche quest’anno a Cagliari, pure a San Siro».

Su Antonio Conte ha dichiarato:

«Non avendo vissuto la passata stagione, mi sono fatto raccontare alcune cose. Posso dirti che quello che ho visto nei primi 6 mesi di questa stagione a Napoli è simile a quello che mi ha fatto vedere Bielsa quando ero a Leeds: cura dei dettagli maniacale. Con Conte, come con Bielsa, finché la cosa non esce perfetta in allenamento, si rimane in campo a provarla. Non c’è altra strada. Si rimane lì finché non viene. Senza lamentele e senza niente: quello che fai bene il mercoledì te lo ritrovi la domenica. Questo è stato il segreto del Napoli: non avere problemi ad accettare un mister che ti fa rimanere in campo anche due ore e mezzo perché le cose devono venirti bene e te le ritrovi in partita. E poi lui riesce davvero a entrare dentro ai calciatori a gamba tesa, nel senso positivo: riesce a tirarti fuori, come un dono, quello che altri non riescono. La prima volta che ci siamo sentiti gli chiesi di essere sempre diretto, anche se avesse dovuto dirmi una cosa brutta: lo è sempre stato, infatti, e nutro un profondo rispetto per lui».

Caprile rivela una confessione fatta da McTominay e il suo impatto con la Serie A:

«Un giorno mi ha detto: ‘Non mi sono mai allenato così tanto come con Conte’. Mi aspettavo che avrebbe avuto questo impatto sulla Serie A. Da lui, ma come da tutti i nuovi: Kvara, McTominay, Buongiorno, Di Lorenzo, Lobotka che secondo me è il centrocampista più forte in Italia con le sue caratteristiche. Sembrava di essere al parco giochi. Abbiamo parlato con McTominay e Gilmour della cultura in inglese, mi informavo come era la vita allo United e al Brighton, ci confrontavamo con la mia esperienza al Leeds e poi in Italia».

L’esordio con il Napoli:

«I miei non erano anche allo stadio, gli avevo detto: ‘Non venite a Torino, tanto non gioco. Andate a vedere mio fratello Jacopo’. Vanno, poi a una certa si fa male Meret. Mio padre era in tribuna e sul telefono aveva anche Juventus-Napoli. Mia mamma mi ha raccontato che mio padre le ha detto: ‘Guarda che sta entrando Elia’. Le ha indicato lo schermo, e da lì si sono messi a vederla. La vera emozione è stata la settimana dopo, quando ho fatto l’esordio al Maradona e c’erano anche loro in tribuna. Esordire con il Napoli è sempre stata l’ambizione della mia vita».

Caprile al Leeds con Bielsa:

«Era l’allenatore della prima squadra. Conosceva tutto ciò che riguardava il club dall’u-18 in poi e il preparatore dei portieri gli tagliava tutti i gol dei top 5 campionati europei. Si vedeva una cosa come 200 gol segnati al giorno e aveva preso una stanza dentro al centro sportivo. Con lui si rimaneva in campo fino a quando un esercizio non veniva perfetto, un po’ come Conte a Napoli: è la loro forza. Il campionato riserve è un “Under-23 con 5 fuoriquota”, spesso si gioca di lunedì almeno i calciatori della prima squadra che non hanno giocato possono scendere. Il livello per questo è veramente alto: in squadra con me erano scesi Raphinha o Kalvin Phillips. Sono circa 21 partite a stagione, di cui 7 si giocano al centro sportivo, altre 7 in uno stadio semi-professionistico e altre 7 nello stadio della prima squadra. Questo per far ambientare i ragazzi al pubblico e fargli vivere l’atmosfera dei grandi: a Leeds abbiamo fatto partite con 10/15mila spettatori. È un format che funziona».

Sull’esperienza al Cagliari, Caprile ha infine commentato:

«Secondo me è un dovere del calciatore conoscere e sperimentare la cultura della città in cui va a giocare. A Cagliari il mio nome si è sposato bene con “Sant’Elia”, che da loro è un’istituzione. Dopo le parata all’esordio me lo hanno scritto in tanti. Il quartiere dove sorge lo stadio si chiama così e ho voluto andare oltre: sono andato a visitarlo e mi sono informato. Volevo capire cosa rappresentasse per la città. Mi sono veramente integrato bene a Cagliari. Hanno avuto fiducia in me dopo 6 mesi che non giocavo. Nel tragitto verso San Siro per l’esordio contro il Milan ho proprio pensato: ‘Ok, mi torno a divertire’. Integrarsi è una responsabilità del calciatore. Ho il dovere, secondo me, di far passare anche dei messaggi belli e importanti. Ho cercato di conoscere la cultura inglese quando ero a Leeds e lo faccio ancora oggi. Ho la fortuna di avere un cane: questo mi obbliga a lunghe passeggiate. E di conseguenza a conoscere le città in cui mi trovo».

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