Intervista al Corriere della Sera: «forse devo smussare la rigidità. Ho finalmente capito che sbagliare non significa essere sbagliati»

Sofia Goggia intervistata dal Corriere della Sera. Domani inizia la coppa del Mondo col gigante femminile a Soelden.
Oltre le sliding door della vita può esserci pure la politica?
«Non lo escludo, ma non penso. Vivo in un sistema meritocratico — il giudice è il cronometro —, mentre in altri ambiti servono compromessi che non saprei accettare. Peraltro dopo lo sport mi attende la vita: sono consapevole che funziona con schemi non sempre delineati dal merito».
Lei è dura con sé stessa: non è ora di ammorbidirsi?
«Chi non è esigente con sé stesso non è ambizioso. E io sono estremamente ambiziosa. Però, sì, forse devo smussare la rigidità. Ho finalmente capito che sbagliare non significa essere… sbagliati».
Non molti anni fa parlava come se fosse vicina a mollare. Può dirci quanto lo è stata veramente?
Sofia Goggia: «Da un po’ i ritmi che vivo mi portano a rimuovere le cose. Non rammento quelle frasi, però il punto critico era capitato molto prima. Nel dicembre 2013, dopo l’incidente di Lake Louise a pochi giorni dal debutto nella Coppa del mondo, sono entrata in un vortice nero. In quel periodo ho fatto tanta fatica».
Possiamo parlare di depressione, visto che ha dichiarato di capire i tormenti di Fedez?
«Magari ciò che è depressione per me è cosa lieve per alcuni e gravissima per altri. Però un po’ depressa lo ero: non riuscivo a uscirne».
L’INTERVISTA A OGGI DI SETTE MESI FA
«Alcune volte mi alzo dal letto e so che faticherò a fare le scale. Vivo con questa sensazione di dolore fisico alle gambe, martoriate da infortuni e operazioni, ed è una frustrazione. Ma ciò che davvero mi spaventa di più è il dolore dell’anima».
Le sue paure.
«Sono cresciuta con un’irrequietudine interiore, la mia gara non è dal cancelletto di partenza al traguardo ma è al di fuori delle competizioni. La mia paura più grande è quella di non essere mai abbastanza: da un lato è una spinta propositiva per raggiungere i miei obiettivi. Dall’altro lato è qualcosa di patologico, il mio sentirmi sempre un po’ sbagliata. Non so accettare una cosa diversa dall’idea di perfezione. Della voragine della solitudine a volte farei anche a meno».