Aldo Serena: «Nei vivai molti tecnici pensano a fare carriera invece di sviluppare tecnica e creatività»
A Sportweek: «Si preferisce puntare sul gioco, più che sul giocatore, perché l’obiettivo dell’allenatore è mettersi in mostra»

In Serie A abbondano gli 0-0, gli 1-0, gli 1-1. Risultati striminziti che certificano la fatica che fanno le squadre italiane a segnare. In 28 giornate sono stati segnati 704 gol, 119 in meno rispetto agli 823 della passata stagione, ancora peggio se il confronto viene fatto con quelle precedenti, quando, nello stesso numero di giornate, i gol erano stati addirittura 840 (2020-21), 831 (2019-20), 758 (2018-19) e via così. I dati sono su Sportweek che intervista, sul tema, Aldo Serena.
«Dal 2005, i campionati in cui si sono segnate più reti sono stati quelli giocati nel periodo peggiore del Covid, quando gli stadi erano chiusi. Senza pubblico, la concentrazione dei difensori è calata. A volte, il rumore di fondo dello stadio, il brusio o, al contrario, l’improvviso alzarsi dei decibel degli spettatori alzano la soglia di attenzione. Danno la scossa, la sveglia a chi deve proteggere la propria porta. Insomma, il pubblico ti aiuta a percepire se c’è
un pericolo alle tue spalle, se un avversario di cui non ti eri accorto ti sta scappando, se stai per rischiare un passaggio azzardato oppure un’uscita dalla tua area che sarebbe meglio evitare. E questo ti aiuta a essere più lucido e reattivo, come troppe volte non è successo quando le partite si giocavano in un silenzio surreale. Ho visto in quel periodo errori grossolani anche da parte di giocatori molto forti. Era una questione proprio di percezione del pericolo, prima ancora di concentrazione».
Serena parla anche di quanto influisca la Var soprattutto in termini di rigori.
«Se da un lato la Var toglie gol per un fuorigioco millimetrico, dall’altro ha contribuito a rendere molto più prudenti i difensori. In area, i mezzi falli, i giochetti sporchi, gli interventi al limite sono quasi spariti. Adesso, chi difende si trattiene, aspetta di vedere cosa fa l’attaccante, riduce al minimo la propria irruenza. Si è capito che non è più possibile giocare sull’equivoco, sul “un po’ sì e un po’ no”: la tecnologia vede tutto, anche quello che ai miei tempi il difensore riusciva a nascondere, semmai perché l’arbitro era coperto».
Serena dà ragione al coordinatore delle Nazionali giovanili azzurre, Maurizio Viscidi.
«Oggi, i centravanti giocano soprattutto di sponda. Fanno “muro” stando spalle alla porta. Sono bravissimi nel
proteggere palla, nell’aiutare i compagni venendo incontro, nel far salire la squadra, come usa dire, ma, giocando così, la porta, appunto, la vedono poco. Tirano poco in assoluto».
Serena spiega come si è arrivati a questo.
«Anche qui concordo con Viscidi. Vivo a Montebelluna, in Veneto: qui è pieno di scuole calcio e settori giovanili, e io ne frequento diversi. Per la maggior parte, i tecnici che lavorano nei vivai dei club ambiscono a fare carriera. Non sono tanti quelli che mettono al centro il ragazzo, la sua crescita e valorizzazione. Si preferisce puntare sul gioco, più che sul giocatore; sulla tattica, invece che sulle individualità. Questo, proprio perché l’obiettivo dell’allenatore è mettersi in mostra, facendo vedere quanto è bravo nel mettere in campo la squadra. Ma in questa maniera si blocca lo sviluppo del talento, si inibiscono i giocatori che hanno nella tecnica, nel dribbling, nell’uno contro uno i propri punti di forza. Che vanno coltivati, come dicevo, al limite moderati, ma non frenati. Perché sono questi i giocatori che, con il loro coraggio e le loro iniziative, fanno svoltare le partite. Si gioca in maniera troppo schematica e codificata, da qui i movimenti ripetitivi e sempre uguali delle punte».