La moglie di Mennea: «Si scambiava messaggi con Mourinho. Amava la musica dei Fleetwood Mac»
Intervista a CorSera e Messaggero: «Leggeva tutta la notte. Dopo la sua morte abbiamo dovuto comprare una casa per i suoi libri e i trofei»

Italian athlete Pietro Mennea crosses the finish line in the men's 200m during the world Championship, on August 13, 1983, in Helsinki. AFP / LEHTIKUVA PHOTO (Photo by ILKKA RANTA / LEHTIKUVA / AFP)
Domani sono dieci anni dalla morte di Pietro Mennea. La moglie Manuela oggi ha rilasciato due interviste, una al Corriere della Sera e una al Messaggero. Parla di Mennea come di un uomo capace anche di essere tenero ed ironico, non solo duro e serio come si mostrava in pubblico.
«La leggerezza l’aveva dentro, ma non la mostrava per paura che fosse scambiata per debolezza. Con me se la permetteva. La cosa che mi manca di più è la condivisione. Leggeva cinque quotidiani al giorno, più tutto il resto, incluso Cicerone. Stava su di notte, con la luce accesa, tenendomi sveglia. E quando si addormentava, al buio, cominciava il tonfo di libri e giornali che, girandosi, cadevano dal letto».
L’ossessione per la conoscenza di Mennea non si è mai placata.
«Mai, era curioso di tutto. Aveva due passioni: l’attualità e la storia latina e greca. La quarta laurea, l’ultima, la prese in lettere a 50 anni. Perché Pietro, gli chiesi. Perché amo la materia, rispose».
Dopo la sua morte la moglie ha dovuto comprare un appartamento solo per i trofei e i libri che erano appartenuti a Mennea.
«Abbiamo dovuto comprare un appartamento apposta. Quando Pietro è mancato, sono scesa a chiudere la casa di
Barletta con nove amici: siamo tornati a Roma con 60 scatoloni di roba».
È vero che Mennea rifiutò molti soldi per partecipare a un reality televisivo?
«La Fattoria gli offriva quanto non aveva guadagnato in vent’anni di atletica. Si divertì a rilanciare, contrattò per qualche giorno, ben sapendo che non avrebbe mai detto sì. Poi chiamò il responsabile della trasmissione: la ringrazio ma domani ho un convegno di avvocati europei in Cassazione, non mi sembra il caso. La dignità non ha prezzo».
È vero che faceva una vita da asceta?
«Non beveva alcol né acqua gassata né bevande fredde ma mangiava come un lupo. Pasta al forno prima di un record italiano allievi: me lo raccontò ridendo».
Per strada, se riconosciuto, si scherniva:
«Le gag erano varie. Lei si chiama come il campione? E Pietro: beato lui, che pensava a correre e basta».
Al Messaggero, la moglie di Mennea racconta degli ultimi dieci anni trascorsi a promuovere e ad aderire a centinaia di iniziative in nome di suo marito.
«Questi dieci anni sono stati un’esperienza incredibile: ho conosciuto migliaia di persone che amavano Pietro non
solo perché è stato uno dei più grandi sportivi della storia italiana, ma perché apprezzavano l’uomo. Forse l’esperienza più profonda è stata il rapporto con il mondo della scuola. Pietro guardava soprattutto ai giovani. Voleva trasmettere a ragazzi e ragazze un messaggio fondamentale: nella vita, con lavoro e applicazione, puoi raggiungere mete impensabili. La sua parabola è stata questa. Un uomo apparentemente normale, diventato un giorno il più veloce al mondo nei duecento metri».
Una canzone, un film, un luogo della vostra storia?
«In auto si ascoltava musica anni Ottanta. Aveva un debole per i Fleetwood Mac. Il film che lo aveva colpito era “Vi presento Joe Black”, con Brad Pitt. I luoghi sono stati i mille angoli di Roma che lui adorava, la Sardegna, i viaggi, ma forse, in assoluto, la nostra casa».
Mennea aveva un’ammirazione particolare per Mourinho, racconta la moglie.
«Si conobbero nel periodo interista di Mourinho. Si scambiarono regali e si mandavano messaggi al telefono. Immagino che Pietro sia felice di sapere che José sia oggi l’allenatore della Roma. Apprezzava soprattutto l’intelligenza e la personalità di Mourinho».