Il Guardian: basta col feticismo del “più grande tennista di sempre”, è nostalgia in tempo reale
Liew: un intero sport ridotto al livello di un dibattito da pub, ma la commercializzazione dell'epoca d'oro dei Big 3 ha riflessi economici e di potere

Melbourne (Australia) 30/01/2022 - Australian Open / Nadal-Medvedev / foto Imago/Image Sport nella foto: Rafael Nadal
La scoria principale che l’impresa di Nadal agli Australian Open ha lasciato sul tennis è l’infinito dibattito sul “migliore di sempre”. Quello che Jonathan Liew sul Guardian chiama il “Goat debate”. Goat è acronimo di Greatest Of All Time, ma in inglese significa anche ‘capra’, e la cosa si presta a svariati giochi di parole. Ma nel tennis, scrive il Guardian, questa discussione è preponderante. Molto più che in altri sport. E la retorica sportiva non riesce a uscirne.
“Al momento della vittoria la folla ha ruggito e il commentatore ha salutato il “miracolo di Melbourne” e Medvedev ha reso omaggio a un “campione straordinario” e anche questo è stato confortante, ipnotico, piacevolmente familiare. Era stata un’altra grande partita, probabilmente la più grande, sicuramente la più grande. Nadal, con il suo 21esimo titolo del Grande Slam, era ora decisamente il più grande, insieme agli altri due che erano anche i più grandi. Nella tribuna stampa, i più grandi scrittori sportivi del mondo hanno piegato le dita dattilografiche e ancora una volta si sono applicati all’inutile ma altamente redditizia questione dell’eredità”.
Per Liew basta assumere un po’ di distacco e osservare che “un intero sport ridotto al livello di un dibattito da pub, un rumore vorticoso e interminabile”
“Persone intelligenti e ben informate ora vanno in televisione e discutono di record testa a testa e percentuali di vittorie. Le fandom online sempre più ostili si lanciano meme e insulti a vicenda. A che punto questo smette di essere rilevante o costruttivo o lontanamente interessante e diventa una industriale perdita di tempo per tutti?”
“Non è colpa di Nadal, non più di quanto lo sia di Roger Federer o di Novak Djokovic. Piuttosto, il problema è proprio del tennis maschile, di chi lo copre, di chi lo segue e di chi lo commercializza: una panoplia di personaggi ben intenzionati che negli ultimi anni hanno cominciato a sbizzarrirsi nella creazione di miti. Una forma di nostalgia in tempo reale, una feticizzazione di statistiche e superlativi e numeri e record (alcuni dei quali, ce lo ripetono senza riprendere fiato, ‘non saranno mai battuti!’)”.
Liew dice che non è solo una divertente questione di lana caprina: “la consacrazione del tennis della sua autoproclamata epoca d’oro ha conseguenze nel mondo reale, non da ultimo per i giocatori che seguiranno: lo spinoso Medvedev, l’eccitante Jannik Sinner, il brillante Carlos Alcaraz. Attenzione, tempo, energia, copertura mediatica, sponsorizzazioni, spot televisivi in prima serata: niente di tutto questo è una risorsa infinita. Datelo a qualcuno e, per estensione, lo portate via a qualcun altro”.
“Hanno commercializzato solo tre giocatori negli ultimi dieci anni”, ha detto Nick Kyrgios la scorsa settimana.