Il lunedì nero degli abbonati in curva: o hanno perso il biglietto o lo hanno pagato il doppio

Il sistema non ha retto, com’era fin troppo facile prevedere. Non c’era bisogno di interrogare gli astri o la fattucchiera per intuire e prevedere l’inevitabile collasso dei terminali. Le operazioni di vendita dei biglietti per la partita Napoli-Porto si sono dimostrate un raro esempio di inefficienza e approssimazione. In quest’occasione, l’improvvida scelta della società di […]

Il sistema non ha retto, com’era fin troppo facile prevedere. Non c’era bisogno di interrogare gli astri o la fattucchiera per intuire e prevedere l’inevitabile collasso dei terminali. Le operazioni di vendita dei biglietti per la partita Napoli-Porto si sono dimostrate un raro esempio di inefficienza e approssimazione. In quest’occasione, l’improvvida scelta della società di variare il prezzo dei biglietti quando la vendita era già partita si è dimostrata un clamoroso autogol, aggravando le già complicate procedure di acquisto dei tagliandi.

Fin dalle prime battute, dopo il primo comunicato del club di De Laurentiis, era apparso chiaro che il meccanismo informatico congegnato per la vendita dei biglietti non avrebbe permesso di apportare, con la dovuta flessibilità, le modifiche in corso d’opera. Oggi si è avuta la conferma che il tentativo maldestro di ridurre i prezzi dei biglietti, dopo che buona parte degli abbonati aveva già esercitato il diritto di prelazione, si è tramutato in una commedia degli equivoci dove i protagonisti sono personaggi da teatro dell’assurdo. Tra questi, gli abbonati, in particolare quelli delle curve, sono diventati vittime incolpevoli di questo contorto ingranaggio che ha stritolato pazienza e biglietti. Fin dal mattino, le lunghe file, all’interno ed all’esterno delle ricevitorie, a Napoli come in provincia e nel resto della regione, hanno solo ratificato e certificato, se ancora ci fosse qualche scettico da convincere, la dimensione effettiva del disservizio.

Molti abbonati si sono trovati di fronte ad una scelta perentoria: affrontare la coda, annullare il proprio titolo di ingresso allo stadio, ottenere il rimborso e sfidare la sorte, cioè tentare di ottenere un nuovo biglietto al giusto prezzo o rinunciare.

Molti, complici il lunedì lavorativo (poco si concilia questo sistema con qualunque tipo di attività professionale), il caldo improvviso, la ressa, l’impazienza, l’irritazione, hanno desistito. Costoro appartengono alla prima categoria di sventurati: “quelli che, alla fine, avranno pagato il doppio del prezzo”. Alcuni, quasi dei privilegiati, guardati con invidia da quelli che poi scopriremo far parte della terza categoria, ce l’hanno fatta. Dopo almeno un paio di visite in ricevitoria hanno ottenuto il prezioso tagliando. Essi sono “quelli che non si arrendono mai all’ingiustizia”. Infine, gli altri, coloro che stanno ancora imprecando fuori dalle ricevitorie: “quelli che, pur avendo comprato un biglietto, guarderanno la partita in divano”.

Per evitare obiezioni più che fondate, si rende opportuno precisare che il complesso marchingegno non ha causato disagi, comunque non nella stessa misura, agli abbonati di tribune e distinti per ragioni più che ovvie. In primis, al momento dell’abbassamento dei prezzi, prima che si scatenasse la caccia al biglietto, era già iniziata la vendita libera ed è risultato più agevole provvedere al cambio. In secondo luogo, le curve sono sempre il settore più richiesto. La circostanza avrebbe suggerito qualche piccolo accorgimento. Sarebbe stato necessario arginare l’assalto di tutti coloro che, allettati dal biglietto a 9 euro, hanno preso d’assalto botteghini e ricevitorie, preservando almeno i posti di quegli abbonati che avevano più che legittimamente già esercitato la prelazione. A chi si è risentito, difendendo a spada tratta l’operato del Presidente, convinto della generosità della sua insolita ed irrituale decisione, verrebbe da rispondere come Troisi, quando il prete gli spiegò che la mutilazione del padre era un premio divino riservato ai più affezionati. Costatandone lo scetticismo, Don Ciro provò a rasserenarlo, assicurandogli che avrebbe pregato pure per lui. Massimo, con calma serafica e con il solito tono disarmante, ma allo stesso tempo pungente, lo invitò a desistere. “Lasciate stare. E’ capace che fanno qualche regalo pure a me”. Ecco. Grazie per questa volta. Ma, da ora in poi, basta “regali”.
Gianluca Spera

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