Ma il Napoli non ha legami con Napoli: il modello Bayern è lontano anni luce
Ho letto con attenzione lo scritto dell’ottimo Pedersoli. L’analisi di Pedersoli ha evidenziato come l’imprenditore De Laurentis abbia creato utili e flussi di cassa da eliminare totalmente il proprio impegno di capitale di rischio. E questo, anche Pedersoli lo ha evidenziato, va a ratificare la capacità di gestione amministrativa del gruppo proprietario del Calcio Napoli. […]
Ho letto con attenzione lo scritto dell’ottimo Pedersoli. L’analisi di Pedersoli ha evidenziato come l’imprenditore De Laurentis abbia creato utili e flussi di cassa da eliminare totalmente il proprio impegno di capitale di rischio. E questo, anche Pedersoli lo ha evidenziato, va a ratificare la capacità di gestione amministrativa del gruppo proprietario del Calcio Napoli. Rilevo sommessamente che un’analisi maggiormente approfondita andrebbe fatta sui compensi percepiti dal Consiglio di Amministrazione e sui vari benefit, oltre alle spese di rappresentanza. Tali voci ci direbbero infatti, quanta parte di ricchezza viene trasferita dal Calcio Napoli ai propri amministratori – coincidenti con i proprietari nella più parte. E’ chiaro che come tifoso sono contento di avere una società lontana dalle disgrazie finanziarie, ma la ricchezza della società non fa di me un tifoso più tifoso. Ma non è di questo che voglio parlare.
Mi piacerebbe analizzare meglio il motivo per il quale la tifoseria si è “spaccata” in due sul proprietario del Napoli e sul suo stile di management.
Da una parte abbiamo i tifosi oggettivamente felici misurano lo spazio percorso negli anni di gestione De Laurentis. Questa parte della tifoseria si compiace di essere riuscita ad uscire dalle magre del fallimento, di essere arrivata stabilmente nelle prime posizioni del campionato italiano e di fare qualche bella figura in Europa. Misurano anche il presente con il passato: è innegabilmente vero che il Napoli, levata la parentesi D10S, non è mai stato nell’elite del calcio italiano. Mi è parso di capire che Zambardino appartenga a questa fazione.
Dall’altra abbiamo i “miglioristi”. Si tratta di coloro che invece misurano la distanza che avremmo dovuto/potuto percorrere per diventare realmente vincenti. Si tratta di coloro che, anche considerando le possibilità economiche del club, si rammaricano dei mancati acquisti che avrebbero potuto far svoltare alcune situazioni, rendendo il Napoli vincente e non piazzato. Sono quelli che “urlano” contro il mancato riutilizzo della plusvalenza fatta con il “Pocho” e che ribattano ai sostenitori dell’equilibrio finanziario: “i soldi si fanno vincendo e per vincere devi spendere”.
E’ ovvio che non c’è la verità assoluta, non ce l’ha nessuno, però alcune considerazioni si possono fare. E per farle ci facciamo aiutare ancora una volta dalla letteratura economica. Da circa dieci anni si sta diffondendo sempre più il concetto di bilancio sociale. Una possibile definizione è questa: “il Bilancio Sociale rappresenta la certificazione di un profilo etico, l’elemento che legittima il ruolo di un soggetto, non solo in termini strutturali ma soprattutto morali, agli occhi della comunità di riferimento, un momento per enfatizzare il proprio legame con il territorio, un’occasione per affermare il concetto di impresa come buon cittadino, cioè un soggetto economico che perseguendo il proprio interesse prevalente contribuisce a migliorare la qualità della vita dei membri della società in cui è inserito”.
La missione aziendale e la sua condivisione sono elementi importanti per ottenere il consenso della clientela, del proprio personale, dell’opinione pubblica. Valutando quindi le azioni del club con la lente del bilancio sociale alcune risposte ce le potremmo dare. Ci potremmo interrogare su quale valore aggiunto la gestione del club ha apportato al territorio, quale sforzo il club ha fatto per migliorare la qualità dei servizi resi ai propri tifosi/clienti, come ha migliorato le strutture avute in dotazione e come ha migliorato i rapporti con tutti i cd stakeholders.
Oggettivamente i risultati misurati con questa lente sono scarsini.
Il Napoli sembra rappresentare una cellula a parte rispetto al territorio, anzi spesso sembra essere usato contro il territorio stesso. Mi riferisco in particolare alla trattativa per la cessione dello stadio. Le attività sportive del club sembrano essere il grimaldello per forzare le decisioni dell’amministrazione.
Anche pensando alla gestione delle strutture e delle radici locali non ci siamo. La gestione del vivaio è veramente deficitaria. In poco meno di dieci anni di attività, questa società ha portato pochissimo del proprio vivaio in prima squadra. E quando è successo si è verificato grazie alla valorizzazione fatta da squadre terze. E questa mancanza si collega in maniera diretta con la decisioni di “snellezza” finanziaria ed operativa che il Napoli si è dato. Le strutture fisiche per accogliere le squadre giovanili sono assolutamente deficitarie ed anche lo scouting non sembra essere all’altezza. Ascoltavo un’intervista di Crujiff dove evidenziava che i grandi cicli si costruiscono quando in una squadra c’è un’ossatura fatta in casa: se continuiamo così da noi non succederà mai. Evito per amore di patria di parlare dei rapporti fra la società ed i propri stakeholders.
E’ anche vero che le società passano attraverso momenti storici. Sarebbe anche il momento di considerare il club come un soggetto economico che può prosperare facendo sport e non come un punteruolo usabile per fare affari immobiliari (vedi alla voce: affido San Paolo).
Guardando il bilancio d’esercizio si potrebbe immaginare di essere pronti per fare un salto di qualità e cercare di emulare un modello organizzativo/gestionale. Ci sarebbero le risorse per progettare uno stadio proprio che includa anche le strutture necessarie per il vivaio.
Spero vivamente che alcune esperienze estere, tipo Bayern Monaco, vengano studiate con attenzione.
Forza Napoli, sempre!
Antonio Coppola










