Adriano Pantaleo: “Il movimento ultras è l’ultimo grande aggregatore sociale”
Su RepNa intervista all'attore che per quattro anni ha studiato il movimento degli ultras e che stasera debutta con lo spettacolo Non plus ultras

“Questo è il mio omaggio a Ciro. Le mie ricerche nel mondo ultrà nascono dalla voglia di ricordarlo nel modo giusto. Ho sempre seguito le partite del Napoli in curva, senza mai essere ultras. È un mondo che mi affascina, ma con distacco. E ora ho scelto di studiarlo da dentro”.
“Ho incontrato diversi esponenti ultras, napoletani, del centro e del Nord. Hanno tutti lo stesso attaccamento al territorio. È un mondo complesso spesso studiato solo per stereotipi. Con la nostra indagine mettiamo a fuoco la loro mentalità, dalla psicologia all’antropologia”.
“È un mondo contraddittorio e variegato, dal professionista all’impiegato, al disoccupato. E intorno gravitano famiglie disgregate, moglie e figli soli nei weekend, genitori a casa con il patema d’animo, legali che difendono gli ultras per scontri e Daspo. Ci siamo chiesti come vivono le loro famiglie? Cosa vuol dire essere un ultras? Che legame c’è tra lo Stato e il movimento ultras? Che costi ha essere ultras?”
“La rivalità e l’uso della violenza non sono per la squadra, ma per gli scontri tra città, per la storia e la cultura del luogo. Con le dovute differenze, quasi come la violenza delle contrade del Palio di Siena. Paradossalmente il movimento ultras rimane l’ultimo grande aggregatore sociale. Non esistono più partiti e associazioni cattoliche. Gli ultras hanno un regolamento non scritto: non sono filosocietari, non sono filogiocatori, sono apolitici e apartitici, hanno un codice comportamentale e morale nello stadio e nella vita, come non rubare. C’è tra loro mutua socialità verso chi ha problemi economici, o chi perde il lavoro. È un mondo che va conosciuto, che se attacca lo Stato lo fa perché non si riconosce inquesto Stato”.