Francesco Pio Esposito, ovvero la leggenda dei tre gol
L'Italia si racconta come aggrappata a un centravanti che fa da comparsa nell'Inter ma che viene pompato come se ne fosse il capocannoniere

Mg Chisinau (Moldova) 13/11/2025 - qualificazioni Mondiali 2026 / Moldova-Italia / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: esultanza gol Pio Esposito
Francesco Pio Esposito, ovvero la leggenda dei tre gol
Leggiamo sulla Gazzetta dello Sport — con lo stesso stupore con cui si annuncia il ritorno di un mito immortale — che Francesco Pio Esposito ha segnato tre gol in questa stagione con la maglia dell’Inter. Tre. Non trenta, non tredici. Tre (più due con l’Italia). Il tempo si ferma, il calcio trattiene il fiato, l’epopea è servita. Abbandonando il lessico da reel motivazionale e tornando ai numeri — quelli freddi, scortesi, non cliccabili — Esposito, 20 anni, nella Serie A 2025/26 vanta 13 presenze, 1 gol e 1 assist. Spesso dalla panchina. Raramente decisivo. Quasi mai protagonista fisso nell’attacco dell’Inter di Chivu. Eppure tre gol in stagione bastano. Bastano per una prima pagina. Bastano per evocare il “nuovo centravanti del futuro”. In Italia funziona così: non serve incidere, basta apparire. Non serve continuità, basta una narrativa ben confezionata.
Se però usciamo dal recinto autoreferenziale e guardiamo i coetanei, la leggenda si sgonfia. Nico Paz, 21 anni, Como: 15 presenze, 5 gol, 5 assist. Dieci partecipazioni dirette a rete. Fulcro creativo, leader tecnico, numeri da élite reale. Rasmus Højlund, a 19 anni, con l’Atalanta segnava 9 gol in Serie A prima di essere venduto come centravanti vero, non come promessa da presentazione PowerPoint. Arda Güler (2005) incide nel Real Madrid, non nella narrativa del “potrebbe”. Moise Kean, alla stessa età, aveva già lasciato segni concreti tra Juventus ed Everton. E poi c’è Marco Palestra, classe 2005: gioca in Serie A, determina, regge il livello fisico e tattico del campionato senza che nessuno senta il bisogno di santificarlo ogni domenica. Fa ciò che dovrebbe fare un giovane vero: crescere sul campo, non nel racconto.
A questo punto arriva l’obiezione salvifica: “Ma Esposito è stato convocato da Gattuso in Nazionale”. Vero. Ma qui occorre un minimo di onestà intellettuale. Questa è la Nazionale italiana che, per necessità e non per scelta culturale, è stata costretta a ricorrere agli oriundi. Retegui non è un dettaglio folkloristico: è la certificazione di una carestia. È il segnale che il sistema non produce bomber e deve importarli. In questo contesto, una convocazione non è più automaticamente un attestato di eccellenza: spesso è un test di emergenza.
Ed eccoci al punto chiave, quello che spiega tutto. Per mesi ci è stato raccontato di un club ingiocabile, dominante, quasi imbattibile. Una macchina perfetta. Un modello. Poi arriva il verdetto del campo: zero trofei nel 2025. E quando la realtà presenta il conto, il racconto deve salvarsi da qualche parte. Deve trovare simboli alternativi. Appigli emotivi. Narrazioni di riserva. E allora tre gol diventano un evento. Una comparsa diventa un protagonista. Un buon prospetto diventa una leggenda nascente. Non perché lo dica il campo, ma perché lo impone il bisogno di non ammettere che l’“ingiocabile” non lo era affatto. Tre gol di Francesco Pio Esposito sono un buon inizio. Nulla di più. Non un manifesto generazionale. Non una consacrazione. I numeri veri — minuti, continuità, impatto e confronto con i pari età — raccontano la storia di un talento ancora lontano dall’élite. Il problema non è Esposito (che pure noi sul Napolista in estate abbiamo elogiato augurandoci che potesse vivere una stagione da titolare). Il problema è un sistema che trasforma ogni briciola in banchetto pur di non mettere in discussione le proprie certezze.
E finché sarà così, tre gol basteranno sempre per scrivere una leggenda. Anche quando la stagione racconta tutt’altro.











