Diamo il calcio italiano a Binaghi (senza dare il tennis a Gravina, però)
Il presidente della Federtennis ha creato lo stesso sistema di potere, è lì da vent'anni. Però, differenza del collega, funziona. E se risolvesse anche i guai del pallone?

Roma 31/01/2024 - conferenza stampa Jannik Sinner / foto Image Sport nella foto: Angelo Binaghi
La controprova, servirebbe. Un colpo di fulmine, l’innesco di un candelotto di dinamite. Metti che un giorno Angelo Binaghi potesse smetterla di contrapporsi al calcio per avvenuto contrappasso (“contro” nella grammatica di Binaghi è una pre-posizione): metti che il calcio lo dessimo a lui, a Binaghi. È la grande fascinazione di questi giorni, anzi di questi anni di parallelismi agonistici: la nazional-poco popolare e il campione universale, malridottosi a titillare l’orgoglio patrio del tricolore ogni volta che la domanda arriva – un ergastolo in sala stampa – puntuale. Dici Sinner, e per proiezione pensi anche a lui: il presidente della Federtennis (e padel, dio ce ne scampi) che s’intesta ogni vittoria italiana del tennis mondiale. Ecco: metti Binaghi al posto di Gravina. Mica serve tanto, eh: basta un mandato. A quei livelli i mandati sono come gli anni dei cani per gli esseri umani, vanno contati per moltiplicazione.
È una provocazione, perché Binaghi è Presidente della Fitp dal 2001 quando si chiamava solo Fit. E perché certe aderenze al potere funzionano come monocolture. Sono radicate nelle fondamenta dei Palazzi. Binaghi è fatto della stessa sostanza dei Gravina, dei Malagò, dei Petrucci. Sono posizioni che si riproducono per gemmazione. E nel caso suo, si alimentano nel duello. La preda di Binaghi – da sempre – è il calcio, il carrozzone in disfacimento, i risultati scadenti, il declino anche solo percepito.
Quando d’un tratto la Nazionale di Gattuso è finita per confrontarsi in tv con le Atp Finals (prima con Musetti poi con Sinner), ecco il tormentone del “sorpasso”: i numeri dello share, gli ascolti totali, il “momento storico”. È un caposaldo della grande epica Binaghiana. La sua è un’ossessione composta, mirata. Che a dispetto delle cifre si regge sul sentimento, il trasporto mai visto che questa generazione di fenomeni inedita del tennis italiano si applica ad un Paese basculante verso il vincitore, ma mai così tanto. Non più solo la cotta del momento per gli spinnaker di Luna Rossa. Sinner, la Coppa Davis, i romanismi di Berrettini e Cobolli, il talento di Musetti, sono qui per lasciare in eredità un lascito politico, non solo un bel ricordo. A Torino, l’ex ct Spalletti aspettava Sinner per un selfie, oggi va così.
Che sarebbe andata così, però, Binaghi lo sapeva già. Lo sapeva – argomenterebbe con spocchia da vero “pro” – prima degli altri. Una ricerca Nielsen pubblicata dalla Gazzetta qualche giorno fa dice che tennis (e padel, sì ok) sono gli sport più popolari in Italia se non fosse per quel benedetto pallone che ancora registra 21,6 milioni di appassionati. Il tennis è appena dietro con 19,8. La domanda successiva – alzi la mano a chi non ci pensato almeno un po’ – è: con Binaghi al posto di Gravina le cifre sarebbero al contrario?
Binaghi è ostinatamente antipatico, ci tiene ad esserlo, è una postura cui è umanamente predisposto. Ma è anche una tattica vincente. Si muove lateralmente, con un altro passo, ma il sistema di potere è il medesimo di Gravina. È lì da 24 anni e si è giocato svariati jolly. Dagli inizi in cui garantiva le wild card ai tornei internazionali di Pula a suo figlio, è passato persino a farsi indagare dalla Procura Federale per aver offeso Malagò, una volta. Un assist colto al volo, ovviamente: “Che onore, sono indagati Meloni e Sinner, e ora lo sarei anche io. Quest’indagine è il mio Collare d’oro, mettiamola così”. Il Collare d’oro è quel premio che il Coni – appena qualche giorno fa – ha consegnato a Gravina “al merito sportivo”. Il merito sportivo di Gravina: l’Italia che rischia di saltare tre Mondiali di fila.
Binaghi è il “Robin Hood” (parole sue, tra le tante) che vorrebbe il tennis in chiaro per tutti (“Si impedisce a chi non è ricco di poter prendere esempio, e magari indirizzare la propria vita positivamente. L’esclusiva tv è un enorme danno sociale, chiederemo sia stimato”) e che della prima serata Rai consegnata per tradizione al calcio s’è quasi fatto una malattia. Ha vinto pure lì.
Binaghi parla chiaramente, ma spesso il sottotesto incluso è che tira vincenti. Sì, proprio come Sinner, è un paragone che non lo imbarazza. L’aneddotica è pressoché infinita, ma basterebbe ricordare che per lui “enfatizziamo troppo la Davis”, perché “avendola vinta dopo non aver vinto nulla per un lungo periodo, è stata il parametro dei nostri risultati. I tempi sono cambiati, poi con questa formula sembra il circo equestre”. Ovviamente è un “circo equestre” che votò anche la sua Federtennis, quando Piqué promise un po’ di soldi in giro. E poi, manco a dirlo, l’abbiamo vinta tre volte di fila. L’ultima, ieri a Bologna.
Però, senza tirarla troppo per le lunghe: Binaghi ha vinto. L’Italia ha il miglior giocatore del mondo (con Alcaraz, pari son), Le Atp Finals a Torino, e la Davis a Bologna. E anche quando perdeva (Sinner e Musetti, e prima di loro Berrettini e Fognini, sono una novità degli ultimi anni) vinceva lo stesso intestandosi la grande stagione del tennis femminile. Dove oggi c’è Paolini, prima c’erano Pennetta, Schiavone e Vinci. Comunque la si giri, Binaghi – fosse anche solo per onnipresenza compulsiva – c’era. Era lì che alzava trofei a mezzo stampa. Era dove lo vediamo ancora adesso: a raccogliere dividendi, a strascico.
Per cui, sì, provochiamo. Diamogli il calcio. Binaghi ha un palmares inoppugnabile, un curriculum da inarrestabile macchina di potere, la sua quota di sana antipatia, e quel pizzico di follia quasi Cossighiana che ormai gli consente di sfrocoliare Abodi per le sue “assenze” tennistiche con lo stesso Abodi di fianco. “Nonostante la crescita del tennis, il calcio continua ad avere uno strapotere”. E’ l’unica cosa che vuole Binaghi: lo “strapotere”. Gli manca solo il mostro finale del gioco: Gravina.











