L’arbitro La Penna: «Mia moglie venne a vedermi in Serie D e fui aggredito. Da allora non mi guarda neanche in tv»

Lui e Doveri a Cronache di Spogliatoio: «La cosa che più ci dà fastidio, più delle proteste, è quando un calciatore finge. Quando protesta per dovere, non perché ci crede davvero»

La Penna

Mg Milano 17/03/2024 - campionato di calcio serie A / Inter-Napoli / foto Matteo Gribaudi/Image Sport nella foto: Federico La Penna

Intervenuti in maniera del tutto innovativa a Cronache di Spogliatoio, Daniele Doveri, Federico La Penna e Livio Marinelli, hanno svelato cosa significa essere arbitri in Italia e ciò che comporta indossare quel completo giallo. In particolar modo, La Penna ha rivelato una decisione adottata in difesa della propria famiglia.

Le parole di La Penna…

«La mia famiglia vive questa realtà con difficoltà. Mia moglie, ad esempio, non guarda più le mie partite. La prima volta che venne a vedermi fu in una finale di Coppa Italia di Serie D, e proprio in quella partita fui aggredito fisicamente da un tesserato. Da allora non riesce più a guardarmi arbitrare, nemmeno in tv. Ricevere insulti è diventato purtroppo normale, ma quando toccano chi ti sta vicino è diverso. Ho dovuto persino rimuovere dal mio profilo la dicitura “sposato con” per evitare che arrivassero offese a mia moglie da parte degli haters».

Poi, sull’ausilio del Var:

«Il Var è fondamentale: permette di correggere gli errori e ridurre il peso emotivo della gara, senza togliere responsabilità. Il gruppo arbitrale è tutto: fidarsi dei collaboratori e valorizzarne le caratteristiche è essenziale. Riguardo all’errore, la prima cosa è cancellarlo subito. Se lo porti con te, rischi di commetterne altri. In campo devi resettare e aumentare la concentrazione. Poi, fuori, arriva la parte dell’analisi: capire perché hai sbagliato. Eri posizionato male? Ti sei spostato tardi? Hai perso l’angolo di visuale?».

…e quelle di Doveri

«Sì, è vero, ci sono insulti che ormai abbiamo imparato a sopportare, ma ce n’è uno che proprio ci tocca dentro: quando ci dicono che compensiamo. È la cosa più offensiva che ci possano dire. Nel nostro percorso non ci viene mai insegnato a “compensare”, anzi, l’arbitro cresce con l’idea di essere coerente, non di bilanciare un errore con un altro».

Poi, sulle proteste dei calciatori:

«La cosa che più ci dà fastidio, più delle proteste, è quando un calciatore finge. Quando ti protesta per dovere, non perché ci crede davvero. Quella mancanza di autenticità si sente e pesa più di qualsiasi urlo. Io ho diretto quasi 250 partite e ancora oggi quella finzione mi dà fastidio. Preferisco un confronto vero, anche duro, ma sincero. Il Var è sacro. Ma l’arbitro resta un direttore di gara, non un tecnico che aspetta una conferma».

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