Fermiamo i Braghettoni del calcio che vogliono mortificare il talento: da Vlahovic a Leao, persino De Bruyne
Lo strano destino di Dusan e Rafa: sono fortissimi, eppure ipercriticati. Al punto che faticano a essere considerati titolari inamovibili. Siamo tornati a Baggio che non trovava squadra

Db Milano 17/10/2022 - Gran Gala' del Calcio Aic 2022 / foto Daniele Buffa/Image Sport nella foto: Dusan Vlahovic-Rafael Leao
Fermiamo i Braghettoni del calcio che vogliono mortificare il talento: da Vlahovic a Leao, persino De Bruyne
C’è uno spettro che si aggira sull’Italia del calcio e ci viene da nominarlo “sindrome Baggio”. Ci fu un momento, nella storia del calcio italiano, in cui i cosiddetti trequartisti finirono con l’essere demonizzati. Si era sull’onda lunga del sacchismo che aveva stravolto il calcio non solo nazionale. La parola d’ordine era 4-4-2. Non c’era spazio per Baggio. Non trovava posto nel calcio italiano. Era un ingombro. Lo fu al Milan. Per certi versi anche all’Inter: in realtà lì pagò l’arrivo di Lippi. Ancelotti al Parma non lo volle. E così pur di giocare il povero Roberto finì in periferia. Prima al Bologna, dove pure venne ostracizzato da Ulivieri, e infine a Brescia dove Mazzone se lo coccolò e ancora si stropicciano gli occhi per i ricordi.
Ora, senza voler paragonare Vlahovic e Leao a Baggio, sta accadendo qualcosa di simile con due calciatori che possiamo serenamente definire piuttosto bravini. Li accomuna il trattamento che ricevono. Non solo e non tanto nelle rispettive squadre. Ma nei rispettivi ambienti. Vengono a malapena tollerati, considerati un peso. A loro non si perdona nulla. Agli altri di tutto e di più. Senza dimenticare che fino a ieri pomeriggio, fino al suo ingresso in campo contro il Genoa, pure De Bruyne è stato vittima di questa furia anti-pallonara. Ora si sono placati. Ma sono tempi duri per il talento. Proprio come lo erano negli anni Novanta. Dovevi essere al servizio della squadra. Poi ti rendi conto che una cosa è se il contropiede te lo avvia De Bruyne (manda in porta Hojlund con due tocchi e via) e un’altra se il contropiede lo avviano piedi meno educati.
Vlahovic è un mistero gaudioso. Un signor centravanti. Uno dei più forti della Serie A che sembra quasi costretto a elemosinare un posto. Dati alla mano, non sembra esserci partita con i suoi concorrenti. Né David né Openda paiono avere il suo fiuto del gol. Sono calciatori forti, concordiamo. E soprattutto patrimonio del club (fattore che a nostro avviso incide di più). Sotto porta non hanno il killer instinct del serbo. Uno dei pochi centravanti per cui vale la regola Pruzzo: ogni tre palloni, uno lo butta dentro. Tudor lo fa giocare dal primo minuto solo quando proprio non può farne a meno. E alla prima ora trascorsa senza reti, lo tira via dal campo. Come se giocasse con la spada di Damocle sulla testa.
Non è solo questo. L’ambiente juventino lo tollera mal volentieri. Lo considera un brocco. Per mesi sui social hanno imperversato video con i suoi gol mangiati. Vorremmo qui dire che circolano anche video inglesi su tiri di De Bruyne al terzo piano della signora. C’è fango per tutti, magari si troveranno anche passaggi sbagliati da Modric. Colpisce l’autolesionismo della Juventus. Non hanno saputo fare mercato, hanno acquistato attaccanti quando a loro serviva almeno un centrocampista degno di questo nome, e si ostinano a trattare Vlahovic da scarto. Vedere il serbo spesso in panchina, ci fa dubitare delle nostre conoscenze calcistiche.
Un trattamento simile, soprattutto ambientale, è riservato a Leao. Una corposa fetta del popolo milanista è allergico a Leao. Insofferente a Leao. Non gli perdonano nulla. Probabilmente sono rimasti scottati dalle ultime stagioni del portoghese. Che, diciamolo, non sembra trarre godimento dal calcio. È un po’ alla Balotelli: sa praticarlo piuttosto bene ma non gli riempie la vita, non gli cambia l’umore. Il che, va riconosciuto, può essere un problema. Ma Leao è l’uomo che può spostare l’orizzonte del Milan. Uno intelligente come Allegri, non può non saperlo. Il Milan è una buona squadra, ha un grande allenatore. Ma se vuole sognare. Se vuole ambire a quell’obiettivo che nessuno osa nominare, c’è una e una sola strada da percorrere: il pieno recupero di Leao che dovrebbe tornare a segnare 15 gol come nell’anno post-scudetto. Non c’è altra soluzione.
Non a caso qualche settimana fa, con il portoghese ancora infortunato, Landucci (vice di Allegri) lo citò, lo coinvolse in un discorso sulla crescita della squadra. Anche ieri a Torino è stato criticato per i due gol che si sarebbe mangiato. Innanzitutto le occasioni le ha avute. Il che non è poco. Il primo, quello quasi in area piccola, sarebbe stato una rete da centravanti implacabile. Diciamo alla Altafini. Non era così semplice come sembra. Sul secondo avrebbe potuto fare meglio. Ma nulla che possa giustificare l’insofferenza manifestata.
Con Modric in regia, uno come Leao può fare sfracelli. Siamo certi che Allegri lo farà giocare. Lo coinvolgerà in ogni modo. Qualcosa si inventerà. Ecco quel che si può dire è che se un giorno dovesse arrendersi anche Allegri, allora forse bisognerebbe effettivamente prendere atto della realtà e rassegnarsi al fatto che Rafa si diverte più con altro, magari con la musica. Ma nel calcio, secondo noi, non vale quel che spesso abbiamo ascoltato dai professori a scuola: che conta di più chi può dare cinque e arriva al sei, di chi può dare dieci e si accontenta del sette. Il sette resta sempre superiore al sei. Anche se magari ci sembra supponente, svagato e ci dà fastidio.
In conclusione: chi sa giocare a calcio, deve giocare. Sennò torniamo a Braghettone che dopo il Concilio di Trento si assunse l’onere di vestire nudità artistiche. Lo fece a fin di bene, è vero, perché la Chiesa quelle opere avrebbe voluto distruggerle. Noi però non facciamo i Braghettoni del calcio. Chi sa giocare, lasciamolo giocare. E lasciamolo anche libero di sbagliare. Nel calcio – non dimentichiamolo – esistono le categorie (come disse quel tale di Livorno). Rispettiamole.