Borg: «Le Brigate rosse mi minacciarono di morte. La mia fu una fuga dal tennis, poi cocaina, alcol, depressione»
Intervista a Repubblica: «Credo nei guaritori e nelle presenze, per tre anni mi sono affidato a una medium. Loredana Bertè mi salvò la vita»

Sweden's tennis player Bjorn Borg hits a forehand in his match against Italian Corado Barazzutti here 4 june 1980 durng the Men's French Open quarter finals at Roland Garros Stadium. (Photo by GABRIEL DUVAL / AFP)
Bjorn Borg, 69 anni, fuoriclasse del tennis (cinque Wimbledon vinti di fila, tra le altre cose), recentemente operato per un cancro alla prostata, ha scritto un’autobiografia, “Battiti” per Rizzoli. Emanuela Audisio lo intervista per Repubblica. E scrive:
racconta tutto: infanzia, amori, dipendenze, tradimenti, divorzi, solitudini, disastri commerciali, perdite, malattia, riassestamenti esistenziali. La fama, la fame chimica, i (tanti) soldi.
Per Adriano Panatta lei è un matto calmo.
«Non sono così calmo, ma è vero che sono un po’ folle, non ho mezze misure. Per me il grigio non esiste, o bianco o nero. In campo era organizzato e programmavo, fuori invece no. Sono Gemelli, ci sono due Borg, opposti e conflittuali. E poi sono superstizioso, credo in altri tipi di presenze e di influenze e nella medicina alternativa, tanto che a Londra mi feci seguire da un guru, un guaritore, noto come Tia Honsai. Sembrerà strano, ma per tre anni mi sono affidato a una medium».
Come Nils Liedholm. E cosa hanno detto gli astri?
«Che le stelle non erano a mio favore. Per questo l’Us Open per me era maledetto, quattro finali, nessun successo. Nessuna previsione sbagliata: il matrimonio con Mariana sarebbe andato male, la mia impresa commerciale sarebbe fallita, avrei avuto figli. Ero scaramantico, non mi tagliavo la barba fino alla fine del torneo, dovevo avere in campo sempre la stessa sedia, i miei mi seguivano ad anni alterni, a Parigi negli anni pari e a Londra in quelli dispari. A Los Angeles sono di nuovo ricorso a una medium perché ero convinto che Alstaholm, la nostra casa di famiglia a Värmdö, fosse piena di energie negative. Lei confermò, ma quando pretese di allontanare gli spiriti maligni al telefono ringraziai e me ne andai».
Si è ritirato nell’81 a New York, come un’altra svedese, Greta Garbo, che però lasciò a 36 anni.
Borg: «Il mio non fu un ritiro, ma una fuga. Non ne potevo più. Persi da McEnroe, andai a fare la doccia, disertai la premiazione, e con i capelli ancora bagnati mi diressi con mia moglie e con Bergelin a Sands Point, Long Island, dove avevo casa. Era piena di ospiti, avevano programmato una festa, mi davano tutti per favorito, quando arrivai calò un velo di delusione, ma il più avvilito ero io, non salutai nessuno, attraversai il giardino».
«Leave me alone, urlai a chi mi voleva seguire. Volevo stare solo, ubriacarmi, non provavo più gioia in campo, ma fuori non ero nessuno. Tutti volevano qualcosa da me e io mi chiedevo: è davvero così che devo passare ogni giorno della mia vita? Rientrai in casa dopo ore, salutai, sapevo recitare la parte. Ma era finita e l’avevo deciso in quella piscina».
Borg, Studio 54 e quella volta con Gerulaitis a Tel Aviv
Non sarà stato tutto brutto: cita lo Studio 54 a New York e l’entusiasmo di un’epoca.
«Tutti quelli che lo frequentavano avevano qualcosa di unico. Lì ho conosciuto Andy Warhol che mi ha regalato con dedica una sua Campbell’s Soup e nell’82 ho provato la polvere bianca. Poi ho aggiunto alcol e medicinali. E giù cocktail. Lì è iniziata la mia caduta: mi trascinavo nei night, mi stordivo con feste e festini, perché tornare a casa? Ero depresso, avevo attacchi di panico, divorziai, mi misi con Jannike Björling, nacque Robin, ma non ero un padre all’altezza. E soprattutto avevo paura di stare solo, sovrapponevo le relazioni, se non avevo compagnia me la procuravo. Conobbi Loredana Bertè a Ibiza, mi trasferii a Milano, ma per me che lottavo contro droghe e farmaci quella città fu un disastro. Però non è vero che nell’89 il mio fu un tentativo di suicidio. Ero solo sfinito,stanco di vivere in quel modo, era un grido d’aiuto. Ho sempre avuto paura dei conflitti, preferisco fare un passo indietro».
Si era impasticcato, la salvò Loredana.
Borg: «Sì, le devo la vita. Mi trovò a letto incosciente, chiamò l’autoambulanza, all’ospedale mi fecero una lavanda gastrica. Frequentavo persone sbagliate, accettavo passivamente tutto, ero in un groviglio. Loredana che era diventata mia moglie voleva un figlio, era comprensibile, aveva sei anni più di me, arrivai a depositare un campione di sperma per l’inseminazione. Ma per salvarmi dovevo fuggire da lei e da quell’ambiente. Mi trasferii a Londra e ripresi ad allenarmi. Quando mi sono risposato lei mi ha denunciato per bigamia e la sua accusa mi ha impedito di tornare in Italia. E comunque a Milano non ci ho voluto più mettere piede».
Cosa capisce del mondo di oggi?
«Che è impazzito. E che tutto sta in un telefonino. E che le nostre ingenuità di ieri oggi ci avrebbero distrutto. Io e Vitas Gerulaitis andammo a fare un’esibizione a Tel Aviv in Israele e poi ci allungammo al Mar Morto dove alcuni soldati ci riconobbero e dopo il bagno ci proposero di provare le loro divise. Ci ritrovammo da stupidi ignoranti con le mitragliatrici in mano. Qualcuno fece clic. A Parigi trovai una folla di cronisti ad aspettarmi. Cosa avevo combinato? Le Br mi minacciarono di morte, mi rifugiai a Cap Ferrat con 8 guardie del corpo, il mio caso arrivò a Yasser Arafat, capo dell’Olp, che in un messaggio pubblico disse che nessuno avrebbe dovuto toccarmi. Ho imparato la lezione, tengo per me le opinioni politiche».