Sinner, chi di tre match-point ferisce… Non è una sconfitta spartiacque però Jannik, Alcaraz, lo soffre

Se avesse vinto al quarto set, si sarebbe scritto di partita a senso unico. C'erano dottor Alcaraz e mister Bublik. Poi, l'odore del sangue ha cambiato tutto

Sinner

Spain's Carlos Alcaraz (L) shakes hands with Italy's Jannik Sinner after winning the men's singles final match on day 15 of the French Open tennis tournament on Court Philippe-Chatrier at the Roland-Garros Complex in Paris on June 8, 2025. (Photo by Dimitar DILKOFF / AFP)

Sinner, chi di tre match-point ferisce… Non è una sconfitta spartiacque però Jannik, Alcaraz, lo soffre

La mazzata alla fine c’è stata. Perché Jannik Sinner ha perduto una partita che aveva in pugno. Prima, due set a zero. Poi, tre match-point nel quarto set. Tre match-point sul servizio di Alcaraz, che hanno ricordato moltissimo quelli che Jannik annullò a Djokovic in Coppa Davis. Quelli rappresentarono l’uccisione del re, il cambio della guardia avvenuto sul campo. Nello sport le detronizzazioni avvengono con spargimento di sangue. E così fu. Quel giorno segnò la nascita del nuovo Sinner. Molto più sicuro di sé. Con quella spavalderia figlia del riconoscimento ottenuto sul campo. La sicurezza nel tennis fa tutta la differenza del mondo. Da quella partita Sinner si trasforma ogni qual volta i match entrano nelle loro fasi cruciali.

È stato così, a lungo, anche oggi al Roland Garros. Prima palla break, break. Mentre dall’altra parte Alcaraz oscillava tra il tennista che conoscevamo e un simil Bublik vecchi tempi che si divertiva a sprecare quanto di buono appena costruito. Dottor Alcaraz e mister Bublik. E contro Sinner una partita così non puoi mai vincerla. E infatti Carlos ha buttato il primo set come nemmeno nei tornei amatoriali. E nel secondo è riuscito sì a issarsi al tie-break ma lui nei momenti migliori giocava due punti sì e uno no, mentre Sinner li giocava praticamente tutti.

L’italiano stava vincendo con la sua arma migliore: la forza mentale. Mentalmente, tra i due, non c’è partita. Così come non c’è partita fisicamente. La tenuta atletica è il vero tallone d’achille del numero uno del mondo. Ma bisogna sempre tenerlo in campo oltre cinque ore. Solo Alcaraz può farlo. Con gli altri questo limite non si palesa mai. Sono già sotto la doccia prima delle due ore, al massimo tre. Non a caso prima della finale non aveva perso nemmeno un set.

Se Sinner avesse messo a segno uno dei tre match-point avuti sul 5-3 nel quarto, si sarebbe parlato e scritto di una partita a senso unico. Alcaraz sarebbe stato subissato di critiche. Sarebbero state riprese le parole pronunciate da Ferrero (suo coach) nel recente documentario, parole sull’importanza di una condotta di vita all’altezza del professionismo di eccellenza. Perché fin lì è parsa una partita tra due grandi tennisti ma uno con la mentalità da campione e l’altro con i colpi tipici dell’atleta genio e sregolatezza.

Quei tre match-point hanno ovviamente rappresentato un prima e un dopo. Lo sguardo di Sinner è cambiato. È parso quasi impaurito. Ci ha ricordato lo sguardo di Muhammad Ali dopo la prima ripresa con Foreman, sguardo di cui ci ha parlato a lungo Norman Mailer. Lo sguardo di chi pensa: “e ora come lo batto questo?” Ha perso il tie-break, lui che i tie-break non li perde mai. E si è andati al quinto. Dove abbiamo avuto la conferma – se ancora ce ne fosse bisogno – che Sinner è un fuoriclasse assoluto. Ha subito il break in apertura ma ha saputo resistere e sul 5-4 ha strappato il servizio ad Alcaraz. Ha alzato persino il proprio livello, Sinner, si è sottratto alla stanchezza. È stato, se non ricordiamo male, a due punti dal match.

Poi, il crollo al super tie-break. Alcaraz non ha sbagliato praticamente niente. Di mister Bublik non è rimasto più niente. Ha azzannato la preda e non l’ha mollata più.

Due osservazioni. La prima è che nonostante i tre match-point, non ci pare che questa partita possa segnare uno spartiacque come fu quella tra Sinner e Djokovic. La seconda è che c’è un solo tennista che Jannik soffre mentalmente ed è Carlos Alcaraz. Forse proprio perché Alcaraz ha un modo tutto suo di stare nella partita. Non scende sul terreno mentale, ne uscirebbe devastato. Procede a strappi. Di vincente in vincente. Forse è l’unico modo per non finire stritolati da Sinner. E lo sguardo di Jannik a fine match, seduto guardando davanti a sé, meriterebbe un dossier a parte.

p.s. la lealtà sportiva che Sinner e Alcaraz hanno dimostrato, anche in momenti chiave della partita, valeva da sola il prezzo del biglietto. E fa impallidire quel che si vede quotidianamente nei tornei più o meno amatoriali.

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