Nemmeno Gattuso sopporta più il Gattuso Full metal jacket: vorrebbe fare il Ct raffinato ma nessuno gli crede
In conferenza prova di tutto: trasforma le sconfitte in "risultati", urla "il mio gioco" ma resta l'etichetta del sergente di ferro. Poi il capolavoro: "Oggi io Gattuso non lo farei giocare"

Dc Roma 19/06/2025 - presentazione Commissario Tecnico Nazionale di Calcio / foto Domenico Cippitelli/Image Sport nella foto: Rino Gattuso
Quando parla a tutti, Rino Gattuso, parla a noi. Da uomo a uomini come “noi”, il salvifico plurale maiestatis delle imprese di squadra quando si avviano al fallimento. “Io” sale solo sul carro del vincitore, lo sanno tutti. E dunque, se a volte ritornano quello di Gattuso – per noi che l’abbiamo già esperito a Napoli – è un ritorno un po’ melanconico. È sempre lui… ma un po’ meno.
La prima conferenza stampa – stretto a tenaglia tra i suoi due esecutori materiali: Gravina e Buffon – è al contempo un’ammissione di colpa (“quando Gigi mi ha chiamato non ho esitato un minuto”…) e un grido d’aiuto di quelli da incubo, quando urli ma non ti esce la voce. Gattuso ha gridato la sua estraneità al personaggio “tutto cuore e grinta” ma abbiamo ascoltato – sordi che non vogliono sentire – solo una vocina flebile che sussurrava “il mio gioco”, “i miei risultati”. Che tenerezza.
Gli highlights del primo lunghissimo interrogatorio Nazionale lo tradiscono, messi in fila sono un trattato di resa condizionata. C’è “il sogno che si avvera” in prima battuta ma che poi ai microfoni di Sky “non so se si avvera” – sta già cambiando idea, tituba. C’è che “di facile nella vita non c’è nulla”. Gravina parla di “lacerazione” per l’addio di Spalletti, e lui rilancia, vuole “creare una famiglia”. Ci sono gli immancabili “valori”, e poi ci sono le mani avanti: il refrain del “68% di stranieri che giocano in Serie A”, “i giovani da far crescere”. Ma soprattutto c’è quell’etichetta che non riesce a togliersi di dosso: “Penso che la figura da calciatore è difficile da cancellare. Le squadre che ho allenato hanno espresso un buon calcio; oggi un Gattuso nella mia squadra non lo metterei in campo per come voglio giocare io. Se si pensa sempre a cuore e grinta non si sta dieci anni a lavorare quasi ogni anno”. Gattuso che non convocherebbe Gattuso è un colpo di genio, un guizzo da fuoriclasse.
Gattuso è ancora vittima di Gattuso
Va capito, nemmeno lui ne può più del Gattuso full metal jacket tramandato dalla stampa a suo uso e consumo: l’ha usato e s’è infine consumato, questo iper-personaggio. Lo rifiuta. Ad un certo punto dice “non posso fare sempre il sergente di ferro o il poliziotto”. È che lo disegnano così.
Gravina – con melliflua cazzimma democristiana – lo promuove a “uomo dei risultati”, mancando di qualificarli: pure la sconfitta è tutto sommato un risultato. I giornalisti gli rinfacciano, con delicatezza, che – insomma – il suo curriculum da allenatore è pubblico. E Gattuso allora passa alla rielaborazione dei dati. Una lettura quantistica della carriera: “Col Napoli ho perso una Champions con 77 punti, col Milan per un punto, a Spalato mi dicono che ho fatto una stagione disastrosa, ma mi sono giocato il campionato fino all’ultima giornata ed erano venti anni che non succedeva lì. Dipende da come vengono scritte, le cose. Solo una squadra vince ogni competizione. Ma bisogna vedere anche il lavoro che c’è dietro, la crescita dei giovani, e penso che in questi anni qualcosa di buono ho fatto”. Avete presente quando a tennis finisce 6-1 6-1 “ma ho perso tutti i game ai vantaggi”? Ecco.
In ogni caso è come se parlasse sott’acqua. È una festa a tema unico: la grinta, la fame, le motivazioni. Gattuso è un ct col dress code: la divisa marziale. Lui sorride per addolcire, ma il grugno è ormai una maschera mediatica. Non va mica via così. Buffon gli va in soccorso, dice che ha “sempre avuto grandi difficoltà ad affrontare le squadre allenate da Rino. Che abbia il tratto distintivo di essere generoso, determinato, combattivo… nessuno glielo toglierà mai. Ma quando mettiamo un’etichetta a qualcuno significa che non vogliamo approfondire”. E chi ce l’ha il tempo, adesso che l’Italia rischia di non andare al terzo Mondiale di fila?
Un giornalista calabrese gli fa una domanda – strepitosa per contenuti e dizione – sul messaggio che vorrebbe mandare alla sua terra, su tutta la beneficenza poco pubblicizzata che ha distribuito al paese. Gattuso non può esimersi dal riportare alla memoria la madre che gli urlava dalla finestra di rientrare a casa, e ammette che il messaggio più bello l’ha ricevuto “dai genitori anziani che si sono emozionati per l’opportunità della Federazione”.
“Non sono Harry Potter, non faccio magie”, dice. Ma “so che Dio mi darà la forza”, conclude. Meglio la fede. Andiamo in pace, per ora.